Adempimenti

Sanità, obbligo di vaccino Covid sotto la sorveglianza dei datori

L’onere introdotto dal Dl 44/2021 in ambito sanitarioimplica vari adempimenti. La norma tutela gli utentima serve a garantire anche la salute degli altri lavoratori

di Gabriele Taddia

Con l’imposizione dell’obbligo vaccinale per chi esercita le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario, l’articolo 4 del Dl 44 del 1° aprile 2021, ha posto non solo un vincolo rispetto ai lavoratori, ma ha anche imposto corrispondenti oneri a carico dei datori di lavoro, che sono tenuti a una serie di adempimenti, la cui violazione potrebbe portare a conseguenze significative. L’obbligo di vaccinazione riguarda infatti, oltre a chi esercita professioni sanitarie, gli operatori di interesse sanitario che lavorano nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali.

In primo luogo, i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario erano tenuti a trasmettere entro il 6 aprile l’elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, indicando il luogo di rispettiva residenza, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio operano, al fine di consentire alle autorità sanitarie la verifica dell’avvenuta vaccinazione degli operatori, ovvero per invitare gli stessi a sottoporsi al trattamento vaccinale.

Vaccinazione essenziale

La disposizione prevede poi espressamente che la vaccinazione costituisca requisito essenziale per l’esercizio della professione e successivamente che la mancata vaccinazione comporti la sospensione del diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2. Pertanto, il datore di lavoro che riceva dall’azienda sanitaria la comunicazione della accertata inosservanza dell’obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è tenuto ad adottare i provvedimenti adeguati e, pertanto, quantomeno ad adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni (anche inferiori), diverse da quelle indicate, per le quali è imposto l’obbligo vaccinale, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implichino rischi di diffusione del contagio.

Sembra evidente che la norma rappresenti una forma di tutela non solo degli utenti che possono venire a contatto con il soggetto non vaccinato, ma anche degli altri lavoratori, anche in applicazione dell’articolo 2087 del Codice civile e dell’articolo 18 del Dlgs 81/2008 in relazione agli obblighi del datore di lavoro.

Occorre peraltro, in questo ambito, prestare attenzione al fatto che la disposizione normativa comporta la perdita per il lavoratore del diritto di svolgere qualunque mansione che implichi contatti interpersonali o che comporti un rischio di contagio, per cui anche il datore di lavoro deve tenere conto di questa limitazione, essendo evidente che rappresenterebbe comunque un rischio consentire al lavoratore di svolgere mansioni diverse dal lavoro solitario o in smart working.

Chi è escluso dall’obbligo

Resta, peraltro, da valutare la portata del comma 2 dell’articolo 4 del Dl 44/2021, che esonera i lavoratori di interesse sanitario dall’obbligo vaccinale in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale. In questo caso, nessuna formale perdita di requisiti imposta dalla norma per il lavoratore, ma sembra comunque possibile che il datore di lavoro, per tutelare il lavoratore stesso, gli eventuali utenti e gli altri lavoratori, possa invocare l’articolo 42 del Testo Unico sulla sicurezza e adibire il lavoratore ad altre mansioni, con conservazione del trattamento retributivo, anche per evitare le responsabilità conseguenti a un eventuale contagio derivante dal lavoratore non vaccinato (non per sua volontà ma per oggettiva impossibilità causata da certificati motivi di salute).

Prevale la sicurezza

La giurisprudenza di merito si sta orientando nel senso di ritenere comunque prevalente l’obbligo di sicurezza rispetto al diritto del lavoratore a non vaccinarsi (per tutti, si ricorda l’Ordinanza del Tribunale di Belluno del 19 marzo 2021), orientamento che deve o può anche essere letto nel senso di confermare a carico del datore di lavoro l’obbligo di assicurare un ambiente di lavoro sicuro a tutti coloro che vi entrano in relazione.

I DOVERI DEI DATORI

I protocolli per la sicurezza

Con il provvedimento del 6 aprile 2021, è stato aggiornato il Protocollo condiviso fra Governo e parti sociali del 24 aprile 2020 per prevenire la diffusione del contagio da Coronavirus negli ambienti di lavoro. Le novità riguardano principalmente l’uso dei Dpi e la riammissione dei lavoratori positivi, e il trasporto di persone da e per i luoghi di lavoro.

In base alla nuova versione del protocollo, i lavoratori positivi oltre il 21° giorno saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in una struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario.

I chiarimenti Inail

Con la circolare del 12 aprile, l’Inail ha dato indicazioni per la riammissione in servizio dei lavoratori dopo un’assenza per malattia legata al Covid-19. Il periodo tra il rilascio dell’attestazione di fine isolamento e la negativizzazione, se il lavoratore non può essere adibito al lavoro agile, dovrà essere coperto da un certificato di prolungamento della malattia rilasciato dal medico curante. Il lavoratore che sia un contatto stretto di un caso positivo, sarà messo in malattia, se non può accedere al lavoro agile.

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