Controlli e liti

Sanzioni Consob alla Consulta

di Patrizia Maciocchi e Giovanni Negri

Doppio rinvio alla Corte costituzionale sul regime sanzionatorio Consob. La Corte di cassazione, con l’ ordinanza 3831 della Seconda sezione civile, ha infatti rinviato alla Consulta due disposizioni del Tuf: la prima, articolo 187 quinquiesdecies, nella parte in cui sanziona chi non collabora con la Commissione ed è stato in precedenza oggetto di una contestazione per abuso di informazioni privilegiate; l’altra sull’estensione del perimetro della confisca per equivalente non solo al profitto dell’illecito ma anche ai mezzi utilizzati per commetterlo (articolo 187 sexies del Testo unico della finanza).

L’articolo 187-sexies finisce nel mirino dei giudici per la parte in cui non limita la confisca per equivalente al profitto dell’illecito ma la estende anche ai mezzi impiegati per commetterlo. Ed è proprio sulla forbice larga della misura applicata all’intero prodotto dell’illecito, che si concentra l’attenzione della sezione remittente, che ipotizza il contrasto sia con l’articolo 3 della Carta, posto a difesa del criterio di ragionevolezza, sia con gli articoli 42 e 117 della Costituzione.

La potenziale eccessività della confisca entrerebbe in rotta di collisione con il diritto di proprietà, riconosciuto dall’articolo 42, e dall’articolo 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a causa di un bilanciamento inadeguato tra la tutela del diritto di proprietà e la ragioni di interesse generale che giustificano la misura. I giudici della seconda sezione civile, guardando al diritto internazionale, ricordano che la Corte di Strasburgo (sentenza del 10 aprile 2012) ha affermato l’obbligo di una ragionevole proporzione tra misure adottate e finalità da realizzare.

A dare consistenza ai dubbi dei giudici di piazza Cavour c’è anche la legge di delegazione europea (163/2017) con la quale il governo è stato delegato a rivedere l’articolo 187-sexies, in modo tale da assicurare l’adeguatezza della confisca prevedendo che essa abbia ad oggetto, anche per equivalente, il profitto derivato dalle violazioni delle previsioni del regolamento Ue 596/2014 sul market abuse.

L’invito è dunque quello di procedere alla rimozione dei riferimenti, presenti nel testo ora in vigore, al «prodotto» dell’illecito e ai «beni utilizzati per commetterlo». I giudici precisano che la disciplina sugli abusi di mercato rientra nel raggio d’azione del diritto dell’Unione europea, facendo dunque sorgere delle perplessità anche riguardo ad un mancato allineamento con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 49) che, con l’articolo 27 della Costituzione, disegna lo statuto costituzionale delle pene.

Nel caso esaminato una delle sanzioni amministrative inflitte al ricorrente riguardava «l’accusa» di non aver risposto prontamente alla convocazione della Consob, cercando di posticipare il più possibile «l’incontro». Per la Corte d’appello il ricorrente non era stato sanzionato per un atteggiamento non collaborativo durante l’audizione, ma per le numerose e ingiustificate richieste di rinvio. La sanzione prevista dall’articolo 187-quinquiesdecies era dunque scattata solo per il ritardo a presentarsi negli uffici Consob.

Anche sul punto la Cassazione rinvia alla Consulta per un possibile conflitto con gli articoli della Carta e della Convenzione posti a tutela del diritto di difesa e del giusto processo. Secondo la Suprema Corte l’articolo che prevede la sanzione pecuniaria nei confronti di «chiunque» ostacoli le funzioni di vigilanza, in caso di abuso di informazioni privilegiate, non dovrebbe valere per la persona alla quale l’addebito è diretto, pena la possibile violazione del diritto di difesa e del principio in base al quale nessuno è tenuto ad «autoincriminarsi». L’accertamento delle violazioni connesse all’insider trading, malgrado la natura amministrativa, può aprire, infatti, la strada ad un procedimento penale.

Cassazione, II sezione civile, ordinanza 3831 del 16 febbraio 2018

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