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Scissione, la partita sul termine ridotto per l’opposizione

Una pronuncia del Tribunale di Prato torna ad occuparsi dell’applicabilità del termine ridotto di 30 giorni per l’opposizione dei creditori nei casi di scissione fra società a capitale non azionario

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di Leo De Rosa a Alberto Russo


Con una pronuncia del Tribunale di Prato (decreto 5 settembre 2022 R.G. 587/2022) la giurisprudenza torna ad occuparsi dell’applicabilità del termine ridotto di 30 giorni per l'opposizione dei creditori nei casi di scissione fra società a capitale non azionario.

Il Giudice del Registro toscano, pur non avallando l’interpretazione estensiva del Consiglio notarile del Trivento (Massima LA.8 del 2004), rigetta il ricorso proposto dal Conservatore, confermando l’iscrizione dell’atto di scissione totale di una società "non azionaria" prima del decorso del termine di 60 giorni dall’iscrizione della delibera assembleare di approvazione del relativo progetto. Alla base della decisione il contrasto tra il controllo ex post del Conservatore (con il correlato potere di cancellazione ex articolo 2191 del Codice civile) ed il principio di irregredibilità degli effetti della scissione, ex articolo 2504-quater del Codice civile (come richiamato dall'articolo 2506-ter), conflitto da risolversi con netta prevalenza di quest'ultimo.

L’applicabilità del termine opponendum ridotto a 30 giorni

In linea con il «fine di semplificare ed accelerare il procedimento di fusione» (V. Relazione Illustrativa al Dlgs 6/2003), il legislatore ha introdotto l’articolo 2505-quater «Fusioni cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni». Tale disciplina, dettata per le sole imprese non azionarie, offre un corposo snellimento amministrativo e temporale dell’operazione. In particolare, la norma, tramite richiami, prevede che siano dimezzati i termini di cui agli articoli:

2501-ter, comma 4: ossia tra l’iscrizione del progetto e la data fissata per la decisione in ordine alla fusione (salvo rinuncia integrale);

• 2501-septies, comma 1: tra il deposito presso la sede sociale dei documenti prescritti dallo stesso articolo 2501-septies e la decisione di fusione, (salvo rinuncia integrale);

• 2503, comma 1: ossia il termine che deve decorrere dall’ultima iscrizione prima che possa essere stipulato l’atto di fusione, ed entro il quale i creditori possono proporre opposizione, che originariamente previsto per sessanta giorni è ridotto a trenta.

Relativamente all’operazione di scissione, infatti, il legislatore nell’individuare (attraverso l’articolo 2506-ter) quali delle norme dettate per la fusione trovano applicazione anche nella scissione, omette di richiamare l’articolo 2505-quater. Al riguardo se si accogliesse, in primis, la tesi della complementarità tra la tutela preventiva, data dal diritto di opposizione, unitamente alla responsabilità solidale delle società beneficiarie coinvolte, la necessità di una ratio "prudenziale" sarebbe difficilmente sostenibile.

A questo deve aggiungersi un’ulteriore circostanza, ovverosia che il decreto "correttivo" della riforma (Dlgs 28 dicembre 2004, n. 310) è tempestivamente intervenuto ad inserire nella dinamica dei rinvii, un ulteriore articolo, l’articolo 2505, originariamente omesso. Tale integrazione lascerebbe intendere che solo per tale ultimo e specifico caso si fosse effettivamente trattato di errore materiale e che quindi risulta difficile continuare a ritenere che possa trattarsi di un’omissione involontaria anche per il tema in esame.

Da ciò ne è derivata una prassi (purtroppo) incerta.

La decisione del Tribunale di Prato

Ultimo, in ordine di tempo, è l’intervento del giudice di Prato del 5 settembre 2022. Il giudice toscano in esito a un decreto rifiuta l’applicabilità del termine ridotto ma tuttavia conferma il perfezionamento di un’operazione di scissione iscritta entro 60 giorni. La fattispecie richiede di essere contestualizzata.

La domanda di cancellazione perviene su istanza del Conservatore del Registro. Lo stesso rileva di aver proceduto all’evasione delle pratiche ai sensi dell’articolo 20 comma 7-bis del Dl 91/2014 [in vigore dal 1° settembre 2014] il quale prevede che «al fine di facilitare e di accelerare ulteriormente le procedure finalizzate all’avvio delle attività economiche nonché le procedure di iscrizione nel registro delle imprese, (...) quando l’iscrizione è richiesta sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, (...), il Conservatore del Registro procede all’iscrizione immediata dell’atto. L’accertamento delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione rientra nella esclusiva responsabilità del pubblico ufficiale (notaio) che ha ricevuto o autenticato l’atto. Resta ferma la cancellazione d’ufficio ai sensi dell’articolo 2191 del Codice civile (...)».

Il giudice dopo una panoramica delle disposizioni relative al procedimento di scissione e dei precedenti di dottrina e giurisprudenza, evidenzia che il contenuto della Massima del Consiglio Notarile del Triveneto (ossia l’interpretazione estensiva) non è condivisibile in ordine al modus operandi. A detta del giudice toscano, affermare che l’articolo 2505-quater «pur non essendo espressamente richiamato in materia di scissione, deve necessariamente applicarsi» [V. Massima LA.8], cela un’operazione di analogia (occulta) attuata in assenza dei requisiti di legge, scolpiti nell’articolo 12, comma 2 delle disposizioni sulla legge in generale (le «preleggi»), i quali infatti incentrano la percorribilità dell’interpretazione analogica sulla necessaria presenza di una lacuna normativa.

Nella specie non sussiste, tuttavia, alcuna lacuna, ovvero non si è in oggettiva mancanza di una disposizione idonea a regolamentare il caso. Stante dunque il mancato richiamo, il termine entro il quale l’atto di scissione non può essere stipulato è fissato de iure condito in sessanta giorni dall’esecuzione dell’ultima iscrizione delle delibere di scissione nel Registro delle Imprese.

Tuttavia, però, proseguono le motivazioni, è anche vero che in tema di scissione è richiamato invece l’articolo 2504-quater, il quale stabilisce che «Eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione [/scissione] a norma del secondo comma dell’articolo 2504, l’invalidità dell’atto di fusione [/scissione] non può essere pronunciata. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione [/scissione]». La norma detta il principio di cd. irreversibilità degli effetti dell’organizzazione societaria, comportando una regressione della tutela reale rispetto a quella risarcitoria. In prospettiva quindi, tale principio di irreversibilità, unitamente al disposto del citato articolo 20 del Dl 91/2014, condurrebbero per forza di cose ad un meccanismo sanante, collegato all’iscrizione dell’atto, in grado di paralizzarne ogni successiva richiesta di cancellazione, tanto per il Conservatore che per lo stesso giudice del Registro scrivente.

Questo ultimo, infine, segnala possibili profili di incostituzionalità in relazione, in primo luogo, alla differenza di trattamento tra le operazioni di fusione e scissione, ed in secondo luogo, legato alla sostanziale inattuabilità di una cancellazione ex articolo 2191 del Codice civile a seguito del combinato tra l’articolo 20, comma 7-bis, del Dl 91/2014 e il principio di irreversibilità ex l’articolo 2504-quater.

L’interpretazione dell’articolo 2505-quater

L’articolo 12 delle Preleggi fissa criteri precisi che costituiscono il metodo vincolante, per tutti, per la risoluzione dei conflitti interpretativi. In particolare, il primo comma prevede che «Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.» Ne consegue che all’interpretazione letterale è attribuito un peso specifico certamente maggiore rispetto a tutte le altre possibili interpretazioni. Dalla medesima lettura è anche desumibile che l’intenzione del legislatore è da considerare congiuntamente alle parole, ma tuttavia tale intenzione segue ad una virgola prima ancora della congiunzione, collocandosi in una posizione comunque lievemente subordinata alla stretta littera legis. Solo al successivo comma 2 dell’articolo 12, il legislatore introduce i criteri dell’analogia legis e dell’analogia iuris, disponendo che «se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe». Entrambi sono dunque criteri supplementari, una extrema ratio, che richiedono infatti un pre condizione fondamentale per l’applicabilità ossia l’oggettiva mancanza di una norma idonea a regolare la fattispecie concreta. Infatti, il loro fondamento storico si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet (V. Cassazione, Sezioni Unite, 6 dicembre 2021, n. 38596).

Il caso oggetto della nostra questione è un caso fortunato. Il meccanismo del richiamo normativo adottato per disciplinare la scissione, si sostanzia in un’operazione di "precisione matematica" che non dà luogo di per sé ad alcun "dubbio".

Sebbene sia stato ben argomentato dalla dottrina che, grazie anche al sistema di garanzie patrimoniali che assistono la scissione, possa ritenersi esistente una somiglianza strutturale e funzionale tra la stessa e l’operazione "modello" della fusione, nonché una medesima ragione giustificativa (c.d. eadem ratio) che farebbe da giusto presupposto per l’applicazione analogica, si è tuttavia dell’opinione che dalla lettera della disposizione non emerga un’obiettiva incertezza che legittimerebbe il ricorso al criterio supplementare.

Le prospettive

Alla luce quanto esposto non possono che trovare ampia condivisione le argomentazioni del giudice di Prato. L’applicazione del criterio dell’analogia, in assenza di una lacuna comporta, di fatto, la (arbitraria) disapplicazione della previsione contenuta nell’articolo 2503 del Codice civile, con la pericolosa conseguenza che il giudice si trovi a dichiarare non la Legge, ma la sua opinione e di occupare uno spazio che appartiene al potere legislativo piuttosto che al potere giudiziario (come riconosciuto dalle stesse Sezioni Unite).

Il primato dell’interpretazione letterale, d’altro canto, ha un fondamento tanto forte quanto semplice, costituito dal fatto che il dato letterale è pacifico e comune a tutti. Questo, se di per sé non permetterebbe di predire con puntuale esattezza il dispositivo di una sentenza, dovrebbe quantomeno essere sufficiente ad intuire il ragionamento del giudice.

Ad ogni modo, occorre riconoscere, nel recente caso toscano, il merito del coraggio del notaio rogante. Pur non condividendone il modus, è certamente sostenibile che la differenza di trattamento tra i creditori della società scissa rispetto a quelli di una società coinvolta in un’operazione di fusione non sia giustificata. Nella scissione, infatti, il fenomeno di scomposizione patrimoniale è naturale, conseguentemente la diminuzione della garanzia non costituisce un’eventualità bensì un effetto fisiologico della causa stessa dell’operazione. Non al caso il legislatore ha previsto uno specifico sistema di garanzie "preventive" e "successive" tra loro complementari. Alla luce dell’ampia diffusione del modello della società a responsabilità limitata e dell’utilizzo dello strumento della scissione (anche grazie alle numerose aperture dell’agenzia delle Entrate, relativamente ai profili fiscali), usufruire della possibilità di dimezzamento dei tempi sarebbe un’opportunità davvero molto apprezzata degli imprenditori.

Tuttavia, piuttosto che cercare una (fortunosa) sponda nel Conservatore del Registro, si auspica un intervento definitivo del legislatore o, come purtroppo già accaduto dinanzi alla lunga inerzia di quest’ultimo, della Corte costituzionale.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Operazioni Straordinarie del Gruppo 24 Ore.
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