Scissioni e fusioni, perdite riportabili in base all’esito del «test di vitalità»
Con l’approssimarsi della scadenza per l’invio dei modelli di dichiarazione - il prossimo 2 dicembre - le società che hanno effettuato fusioni o scissioni nel 2018 sono tenute agli ultimi controlli dei dati rilevanti da riportare nella sezione II del quadro RV del modello. Tale sezione va compilata da ciascun soggetto beneficiario della scissione, incorporante o risultante dalla fusione in relazione a ciascuna operazione intervenuta durante il periodo di imposta 2018.
Tra i righi che richiedono maggior attenzione ci sono l’RV 27 e 28 destinati ad accogliere le perdite fiscali che la società risultante può utilizzare negli esercizi successivi, in considerazione dei limiti stabiliti dall’articolo 172, comma 7 del Tuir (activity test). La società che porta in dote le perdite deve verificare che, dal conto economico del bilancio di esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e di spese per prestazioni di lavoro dipendente e relativi contributi superiore al 40% della media dei rispettivi importi risultanti dai due bilanci precedenti. In caso di retrodatazione della fusione (articolo 172, comma 9), le limitazioni si applicano anche al risultato negativo relativo all’intervallo temporale che va dall’inizio del periodo d’imposta alla data antecedente a quella di efficacia giuridica dell’operazione. Se il test non viene superato, le perdite sono inutilizzabili. In caso contrario, invece, le perdite sono “buone” ma nel limite del patrimonio netto dell’ultimo esercizio chiuso prima della fusione o, se inferiore, della situazione patrimoniale ai sensi dell’articolo 2501-quater del Codice civile senza però tener conto dei versamenti e conferimenti effettuati negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione patrimoniale.
I chiarimenti di giudici e prassi
Nel tempo, l’Agenzia ha fornito importanti chiarimenti sulla corretta applicazione del test. In relazione ai ricavi dell’area caratteristica delle holding è stato chiarito (risoluzioni 337/E/2002, 143/E/2008, 183/E/2009) che devono essere considerati anche i proventi dell’area finanziaria. Per le società costituite da meno di due esercizi, invece, l’Agenzia (risoluzione 337/2002, principio di diritto 6/2018 e risposta 127/2018) ha precisato che è necessario presentare istanza di interpello per verificare in base ad altri parametri la “vitalità” dell’azienda.
Inoltre è stato chiarito che il test deve essere effettuato anche sul bilancio relativo alla frazione di esercizio che si chiude con la delibera di fusione (risoluzioni 116/E/2006 e 143/E/2008). Questa interpretazione è stata criticata dalla dottrina (Assonime 31/2007 e Aidc 176/2009). Infatti, allargare il test anche per tale frazione di esercizio significa non attenersi al testo della norma che si riferisce unicamente al conto economico dell’esercizio precedente a quello nel quale la fusione viene deliberata (Ctr Milano 6353/36/16).
L’interpello disapplicativo
Il test di vitalità nasce per contrastare il cosiddetto commercio di “bare fiscali”, realizzabile mediante fusioni e scissioni con società prive di capacità produttiva, unicamente con lo scopo di compensare le perdite di una società con gli utili dell’altra (risposte 109/E/2018 e 127/E/2018). Per tale ragione, in caso di mancato superamento del test, è possibile presentare istanza di interpello disapplicativo ai sensi dell’articolo 11, comma 2, legge 212/2000 al fine di dimostrare che la fusione e scissione è supportata da valide ragioni economiche e opportunità di business e che non è realizzata solo per abbattere il reddito imponibile di una delle società partecipanti all’operazione con le perdite fiscali accumulate negli esercizi precedenti da altra società.
A tal riguardo, va tenuto conto della recente risposta 416/2019 con la quale l’Agenzia ha disapplicato integralmente la norma antielusiva anche nel caso in cui una società superi il “test di vitalità” ma risulti limitata nel riporto delle perdite dal “paletto quantitativo” del patrimonio netto. In sostanza, anche se l’ostacolo al riporto delle perdite sia rappresentato dal patrimonio netto, l’istanza va comunque incentrata sulla dimostrazione che non sussistano finalità elusive. In questo senso si era già pronunciata la Ctp di Reggio Emilia 24/2/2013.