Sentenza revocatoria: sulla registrazione si paga l’aliquota al 3%
La sentenza revocatoria fallimentare che impone a un istituto di credito di versare nelle casse del fallimento una somma di denaro è assoggettabile all’imposta di registro proporzionale (più gravosa), e non a quella in misura fissa. Lo ha deciso la Ctr Puglia con la sentenza 2687/7/2017 (presidente e relatore Dima), nel ritenere legittimo l’atto di liquidazione dell’imposta in misura proporzionale del 3% sul totale delle somme ingiunte, in relazione alla registrazione della sentenza del Tribunale civile di Bari emessa all’esito del giudizio di revocatoria fallimentare.
La banca ricorrente sosteneva che la restituzione al fallimento delle somme oggetto di revocatoria, avendo natura ripristinatoria del conto della società fallita rientrassero nella ipotesi, soggetta al pagamento della modesta imposta in misura fissa, di dichiarazione di «nullità o annullamento di un atto, ancorchè portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto» (articolo 8, comma 1 lettera e) della Tariffa - parte I - allegata al Dpr 131/1986).
L’imposta di registro, tra i vari atti soggetti a registrazione, riguarda anche quelli «dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale » anche se non ancora definitivi; contestualmente alla registrazione, il richiedente deve quindi pagare l’imposta liquidata, salvo che parte del giudizio sia un’ amministrazione dello Stato, nel qual caso la registrazione avviene a debito e cioè «senza il contemporaneo pagamento delle imposte dovute».
La legge (articolo 8, parte I, Tariffa), prevede un regime differenziato per la registrazione delle sentenze con una diversa imposizione. Quelle che accertano la nullità di un contratto, infatti, sono sottoposte alla misura fissa indicata in tariffa e cioè a 200 euro, ben inferiore a quella, proporzionale, prevista per la registrazione della sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro (3 per cento). Più volte le parti private hanno sostenuto la riconducibilità della sentenza revocatoria fallimentare a quella che dichiara la nullità/annullamento di un atto, visto che la pronuncia restitutoria mira solo a elidere il pregiudizio arrecato al patrimonio del fallito, ripristinando la situazione precedente, al pari di quando avviene quando si esperisce l’azione di annullamento o nullità di un contratto, casi nei quali segue anche una pronuncia restitutoria.
La tesi non convince la Cassazione, alla cui costante giurisprudenza la sentenza della Ctr Puglia si è conformata, secondo cui non è possibile assimilare la sentenza revocatoria e quella di dichiarazione di nullità/annullamento del contratto, visto che la pronuncia di «inefficacia dell’atto dispositivo (singole rimesse in c/c bancario) non hanno, infatti, come presupposto l’accertamento o la dichiarazione dell’invalidità od inefficacia del rapporto giuridico (contratto bancario stipulato tra la società fallita e la banca) avendo ad oggetto la pronuncia revocatoria esclusivamente l’atto dispositivo (rimessa), con conseguente inopponibilità ai creditori concorsuali dell’effetto solutorio, e non anche il contratto che regola il rapporto che permane valido ed efficace “inter partes” »(Cassazione 22503/2017).
Ctr Puglia, sentenza 2687/7/2017