Senza registro cespiti l’ufficio può rettificare la plusvalenza da cessione d’azienda
Il Fisco può legittimamente accertare la plusvalenza da cessione d’azienda sulla base del solo prezzo di vendita, comprensivo di avviamento e beni strumentali, indicato nell’atto di cessione, qualora sia stata omessa la dichiarazione della plusvalenza e non sia stato fornito, in risposta a una preventiva e specifica richiesta dell’Ufficio, il registro dei cespiti ammortizzabili necessario a scomputare eventuali costi non ancora ammortizzati, non essendo a tal fine sufficiente il solo libro giornale. È questa la conclusione desumibile dalla Cassazione 6830/2019 .
In base all’articolo 86, comma 2, del Tuir, la plusvalenza realizzata mediante cessione a titolo oneroso è costituita dalla differenza fra il corrispettivo, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato.
Nel caso di specie, a una Sas che aveva ceduto un ramo d’azienda era stata richiesta, con specifico invito da parte del Fisco, l’esibizione della documentazione riguardante la determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione di tale ramo d’azienda, atteso che nella dichiarazione annuale non era stato indicato alcunché.
A seguito dell’inottemperanza all’invito da parte della società, l’Ufficio aveva accertato una plusvalenza determinata in misura pari al solo corrispettivo dichiarato nell’atto di cessione, atteso che la società non aveva fornito alcun documento probatorio dei costi non ammortizzati da portare eventualmente in diminuzione.
Secondo la società, invero, il Fisco avrebbe potuto rilevare i costi non ammortizzati dal libro giornale che era stato esibito in copia.
Diversamente, per la Cassazione, al fine di escludere dal calcolo della plusvalenza taluni dei beni ceduti occorre la prova, a carico del contribuente, che essi ineriscono a costi non ancora ammortizzati, prova da fornire documentalmente, senz’altro ricavabile dal registro dei beni ammortizzabili, registro non richiesto dalla disciplina civilistica, ma da quella fiscale, che viene tenuto al fine di poter dedurre dal reddito d’esercizio le quote di ammortamento.
Poiché la società non aveva esibito tale registro e neppure aveva indicato nella dichiarazione dei redditi la plusvalenza, che pur emergeva dal bilancio di esercizio, l’Ufficio correttamente aveva accertato tale plusvalenza in misura superiore a quella indicata in bilancio, facendola coincidere con il prezzo indicato nell’atto di cessione del ramo d’azienda.
In passato, del resto, era già stata esclusa la possibilità di scomputare dalla plusvalenza derivante dalla cessione d’azienda il mero costo di acquisto dell’azienda stessa, qualora si tratti di dato risalente nel tempo e non sia stata esibita la documentazione richiesta dall’Ufficio per chiarire la situazione economica dell’impresa, ai fini dell’individuazione dei costi, tra cui il registro dei cespiti ammortizzabili (Cassazione 14136/2017).
Dal 2015, peraltro, l’esistenza di una maggiore plusvalenza da cessione d’azienda non è più presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato o accertato ai fini del Registro, e ciò con effetto retroattivo (Cassazione 7488/2016).
Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 6830 dell’8 marzo 2019