Sequestro, i confini della confisca per equivalente
Il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente riguarda i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato tributario, che non appartengono a persona estranea al reato, ovvero, quando ciò non sia possibile dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. In presenza di violazioni commesse da una società, il beneficio illecito di sovente non è conseguito dal rappresentante legale (in genere l’amministratore) ma dall’impresa e dai soci. Secondo le Sezioni unite penali (sentenza 10561/2014) il sequestro può essere disposto anche sui beni del legale rappresentante della società ma occorre distinguere il sequestro «diretto» da quello per «equivalente».
Nella prima ipotesi la misura cautelare riguarda denaro o beni direttamente riconducibili al profitto del reato. Nella seconda ipotesi, invece, la confisca «per equivalente» è correlata alla impossibilità di aggredire ciò che presenti un nesso di derivazione qualificata con il reato, con la conseguenza che si aggrediscono beni per un valore corrispondente.
Nei confronti di una società è consentito solo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o altri beni fungibili o beni direttamente riconducibili al profitto del reato. È escluso il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente su beni della persona giuridica, salvo che quest’ultima non sia un mero schermo fittizio.
Nei confronti del rappresentante legale della società (il reo) sono ammesse invece entrambe le misure cautelari. A ciò consegue che il Pm è legittimato alla richiesta di sequestro per equivalente nei confronti del rappresentante legale, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio della società. Non è necessario un vero e proprio accertamento quale presupposto della richiesta cautelare per equivalente, ma il Pm non ha in ogni caso la libertà di scelta tra il sequestro diretto sull’ente e quello sui beni del legale rappresentante, poiché quest’ultimo si può chiedere solo all’esito di una valutazione quanto meno sommaria (sentenza 6053/2017).
In tale contesto, se nell’importo da sottoporre a sequestro si aggiungono anche le sanzioni tributarie e gli interessi oltre all’imposta evasa, la misura reale in termini quantitativi rischia di raddoppiarsi. Tali voci infatti sono particolarmente elevate: per l’infedele dichiarazione le sanzioni vanno dal 90% al 180% dell’imposta accertata.
È poi evidente che il contribuente, quando ha commesso un illecito tributario (esclusa la sottrazione fraudolenta), ha la finalità di non versare le imposte dovute. Se avesse agito correttamente avrebbe versato le imposte, ma non anche interessi e sanzioni. Si pensi a una omessa fatturazione di ricavi o un omesso versamento Iva: il contribuente intende conseguire il vantaggio (illecito) di risparmiare/non versare le imposte dovute e non anche interessi e sanzioni, e infatti se avesse regolarmente assolto l’obbligo di fatturazione o versamento nessuna sanzione o interesse era dovuto.