Sequestro diretto escluso su accrediti successivi all’illecito
In presenza di omessa dichiarazione, il sequestro diretto non può riguardare le somme giacenti sui conti della società versate successivamente alla commissione dell'illecito. È uno dei principi espressi dalla Cassazione nella sentenza n. 41104 depositata ieri.
Il Gip sequestrava beni mobili ed immobili nella disponibilità di una società, del legale rappresentante e di un soggetto considerato amministratore di fatto, per il reato di omessa presentazione della dichiarazione (articolo 5 del Dlgs 74/2000).
Il Tribunale del riesame confermava il provvedimento e gli indagati ricorrevano in Cassazione lamentando, tra l'altro, che le somme giacenti sul conto della società sottoposte a vincolo non erano riconducibili al reato e pertanto non potevano essere sequestrate in via diretta. L'amministratore di fatto rilevava poi l'assenza di prove in ordine alla sua responsabilità per l'omessa presentazione.
La Corte, con riguardo al sequestro, ha ricordato che secondo il principio affermato dalle Sezioni unite (10561/2014 e 31617/2015) la confisca delle somme depositate sul conto bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e in considerazione della fungibilità caratteristica del denaro, non necessita della prova del nesso di derivazione dal reato contestato.
Tuttavia detto principio trova applicazione anche in senso contrario: non sono cioè sequestrabili le somme giacenti sul conto nell'ipotesi in cui si provi che non derivino in alcun modo dal reato. È il caso, ad esempio, di versamenti eseguiti da terzi successivamente alla commissione del delitto. In tale contesto deve essere l'indagato a provare l'estraneità al reato delle somme rinvenute sul conto perché sopraggiunte in un momento posteriore.
Con riferimento, invece, al reato di omessa presentazione, la sentenza ha sottolineato preliminarmente che il comportamento rilevante ai fini penali è l'invio della dichiarazione contenente solo i dati informativi della società senza alcun riferimento numerico.
Il citato reato può essere commesso da chi, secondo la legislazione fiscale, è obbligato alla relativa presentazione (rappresentante legale), con la conseguenza che il concorso nei confronti di colui che viene considerato amministratore di fatto è ipotizzabile solo in forma morale (accordo, istigazione e rafforzamento) ovvero qualora l'amministratore di diritto sia un mero prestanome.
Nella specie, il giudice territoriale non aveva chiarito il ruolo dell'asserito amministratore di fatto e conseguentemente la sua responsabilità nella vicenda.
Con un'altra interessante sentenza depositata ieri (n. 41051) la Suprema corte ha precisato che il valore dei beni da sequestrare deve essere adeguato e proporzionato al prezzo o al profitto del reato. Il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare riferimento alle quotazioni di mercato dei beni stessi alla data in cui viene disposta la misura preventiva.
Il valore dell'acquisto di un bene, quindi, può costituire un indice di riferimento solo ove sia adeguato e non sproporzionato rispetto all'effettiva quotazione di mercato.
Cassazione, sentenza 41051/2018
Cassazione, sentenza 41104/2018