Controlli e liti

Sì all’utilizzo in giudizio per i documenti non esibiti nella fase amministrativa

di Roberto Bianchi

Lo stop all’impiego in sede giudiziaria della documentazione non esibita durante la fase amministrativa rappresenta una limitazione all’ esercizio del diritto alla difesa che si giustifica esclusivamente qualora venga constatato il rifiuto a esibire la documentazione specificamente richiesta dai verificatori, poiché tale «sanzione ….. esige che sussista una specifica richiesta degli agenti accertatori, non potendo costituire «rifiuto» la mancata esibizione di un qualcosa che non venga richiesto». A stabilirlo è l’ordinanza 15021/2017 della Cassazione.

La vicenda nasce dall’impugnazione di avvisi di accertamento per maggior Irpef relativi all’anno 2002, sulla base di una determinazione sintetica del reddito operata, ai sensi dell’articolo 38, commi 4 e 5, del Dpr 600/1973 in relazione a spese per incrementi patrimoniali. La Ctr Veneto ha solo in parte accolto l’appello dell’ufficio, ritenendo che la documentazione prodotta dal contribuente non incorresse nella sanzione di inutilizzabilità prevista dall’articolo 32, comma 4, del Dpr 600/1973 per la sua mancata esibizione in risposta ai questionari, in considerazione della genericità dei medesimi ed essendo tuttavia in grado di comprovare disponibilità finanziarie idonee a giustificare gli incrementi patrimoniali considerati dall’ufficio.

Contro tale decisione l’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 32, commi 3, 4 e 5 del Dpr 600/1973 in relazione all’articolo 360 del Codice di procedura civile, commi 1, n. 3, per avere la Ctr erroneamente attribuito rilievo all’atteggiamento soggettivo della contribuente, risultando al contrario irrilevante, ai fini della norma, l’elemento psicologico del soggetto che omette di rispondere al questionario.

Sulla vicenda, la Suprema corte ha più volte asserito che la proibizione all’utilizzo in sede giudiziaria di documentazione non presentata in sede amministrativa rappresenta un condizionamento all’esercizio del diritto di difesa e pertanto si legittima esclusivamente qualora configuri la negazione di un incartamento esplicitamente rivendicato dall’Ufficio, riconoscendo tuttavia che il veto a valersi dei documenti si manifesti «non solo nell’ipotesi di rifiuto dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto e, quindi, per colpa» (Cassazione, sentenza 7269/2009). Tuttavia la penalizzazione richiamata pretende l’esistenza di una determinata richiesta dell’Ufficio accertatore, non potendo rappresentare un “rifiuto” la mancata presentazione di ciò che non venga richiesto (Cassazione sentenza 21768/2009) oltre alla circostanza che, nella vicenda in esame, affiora dalle medesime affermazioni della ricorrente che si è trattato di una richiesta generica di notizie afferenti l’esistenza di redditi esenti o già assoggettati a ritenuta alla fonte alla fonte a titolo di imposta e non, come invece necessario, riferita a determinati documenti e, segnatamente, a quelli in seguito presentati dal contribuente in contenzioso.

Alla luce di quanto rappresentato, la Suprema corte (sentenza 20461/2011) ha tratteggiato un quadro garantista. Pertanto, solo l’assoluta assenza di risposta al questionario integra un presupposto sul quale attivare l’a ccertamento induttivo ex articolo 39, comma 2, lettera d-bis) e non già il «non grave ritardo».

Cassazione, ordinanza 15021/2017

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