Controlli e liti

Sì alla cartella via pec anche se priva di firma digitale e in formato diverso dal pdf

di Massimo Romeo


L’invio con posta elettronica certificata della cartella esattoriale può essere qualificato come trasmissione del documento informatico originale o di una sua copia informatica non risultando pertanto dovuta alcuna attestazione di conformità. Diventa altresì del tutto irrilevante anche l’estensione del file (.pdf) non essendo prevista la necessità del formato p7m che invece riguarda la diversa e specifica ipotesi che disciplina la procedura di notificazione degli atti giudiziari. È quanto emerge dalla sentenza 4754/19/2018 della Ctr Lombardia ( clicca qui per consultarla ).

La vicenda
La decisione in commento afferisce ad un tema di frequente discusso nelle aule di giustizia da quando si è dato l’avvio alla digitalizzazione degli atti della Pubblica amministrazione ed in particolare legittimato l’emissione e notificazione informatizzata degli atti impoesattivi e di quelli tipici del procedimento di riscossione; tale provvedimento giurisdizionale segue la scia tracciata da alcune pronunce di merito (si veda approfondimento in calce) che hanno considerato legittima la notifica telematica «semplificata» delle cartelle esattoriali in quanto non soggette alle nullità tipiche degli avvisi di accertamento (vizio di sottoscrizione ex articolo 42 del Dpr 600/1973) ed in applicazione del principio della presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’ente da cui promana. La controversia riguardava l’impugnazione da parte di una contribuente di una cartella di pagamento a sua volta scaturente da un avviso di liquidazione con il quale l’amministrazione finanziaria procedeva al recupero della maggiore imposta in seguito alla revoca delle agevolazioni prima casa.
Fra le varie eccezioni il ricorrente sosteneva la violazione dell’articolo 20 del Dlgs 82/2005 (il Codice dell’amministrazione digitale) che i giudici di primo grado respingevano, unitamente alle altre eccezioni, in quanto le modalità previste dal citato decreto non prevedono l’apposizione della firma digitale.

La sentenza
I giudici regionali, nel confermare la legittimità dell’atto della riscossione, offrono sul tema ulteriori argomentazioni a supporto della motivazione. In sostanza la Ctr sul punto rileva che nel caso di specie la notifica si era perfezionata in piena aderenza al disposto dell’articolo 26 del Dpr 602/1973 il quale rinvia a sua volta al Dpr 68/2005 (disciplinante l’uso della posta elettronica certificata).

In particolare l’articolo 3 del decreto stabilisce che l’atto trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella del destinatario messa a disposizione dal gestore mentre l’articolo 6 precisa che la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico del destinatario, così certificando il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione; la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio Pec è rilasciata contestualmente alla consegna di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall’avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario. Pertanto, secondo il collegio regionale, la notifica era quindi avvenuta in conformità alla legge; peraltro, proseguono i giudici, l’interposizione di uno o più gestori che garantiscono la regolarità del servizio, fa sì che nessuna delle parti (mittente e destinatario) possa contestare l’inoltro o la ricezione del messaggio, e proprio da tale sistema discende anche la non necessità della firma digitale da parte del mittente. È infatti il gestore che sottoscrive la busta di trasporto con propria firma elettronica avanzata, basata su chiavi asimmetriche a coppia, e tale sistema garantisce la provenienza, l’integrità e l’autenticità del messaggio di posta elettronica certificata secondo le modalità previste dalle regole tecniche all’articolo 17.

L’invio via Pec della cartella esattoriale, chiosano i giudici, può essere qualificato come invio del documento informatico originale o al più di una sua copia informatica, per cui non è dovuta un’attestazione di conformità e diventa pertanto del tutto irrilevante anche l’estensione del file (.pdf), non essendo prevista la necessità del formato p7m; infatti il carattere immodificabile p7m riguarda la diversa e specifica ipotesi di disciplina della procedura di notificazione degli atti giudiziari, che prevedono la necessità della firma digitale.

In altri termini non si era in presenza di un caso di notifica di atti giudiziari bensì di notifica di atti esattoriali. Quanto, infine, alla mancata indicazione del responsabile del procedimento di notificazione la Ctr evidenzia che nella cartella di pagamento la sanzione di nullità della stessa è collegata esclusivamente alla mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e formazione della stessa stante la presunzione generale di riconducibilità dell’atto amministrativo all’ente da cui promana.

I precedenti
In senso difforme al principio espresso dalla sentenza in commento si sono espresse diverse commissioni tributarie (ex multis Ctp Reggio Emilia 204/2017, Ctp Milano 1023/2017, Ctp Arezzo 264/2016, Ctp Lecce 611/2016, Ctr Campania 9464/2017, Ctr Liguria 1745/2017, Ctp Treviso 93/2018) affermando il principio per cui non è valida la notifica della cartella avvenuta tramite Pec contenente il file della con estensione «pdf» anziché «p7m» atteso che «l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico nonché, per quanto attiene alla firma digitale, l’identificabilità del suo autore e la paternità dell’atto può essere garantita solo attraverso l’estensione del file p7m» ovvero che «trattandosi di copia informatica dell’originale analogico l’assenza dell’attestazione di conformità all’originale (ex articolo 23-bis del Cad) rende la cartella priva dei requisiti di autenticità e conformità prescritti dalla disciplina di settore in materia di documento informatico».
Nelle stesso senso invece si sono espresse altre Commi (ex multis Ctp Bologna 985/2017, Ctp Milano 353/2018) ritenendo che:
• la notifica della cartella di pagamento tramite Pec è valida in quanto la riconducibilità del documento al mittente è dimostrata sia dagli elementi propri dell’atto che dai dati di certificazione contenuti, con caratteri immodificabili, nelle buste di trasporto e nelle varie ricevute emesse e firmate dallo stesso gestore nonché dal dominio di posta elettronica dal quale il messaggio è stato inviato;
•la trasmissione via Pec è da equiparare ad una raccomandata con avviso di ricevimento e pertanto la cartella allegata non è altro che il documento cartaceo di stampa del ruolo di cui l’agente della riscossione conserva la matrice e la ricevuta di spedizione e consegna;
•la ricevuta di avvenuta consegna della Pec attesta il buon esito della trasmissione e quindi deve considerarsi portata conoscenza del destinatario la cartella esattoriale; non è pertanto possibile in tal caso invocare qualsivoglia ipotesi di vizio della notificazione (articoli 160 e 156 del Codice di procedura civile);
•non è richiesta dalla legge la sottoscrizione della cartella ai fini della validità della stessa qualora il contribuente sia in grado di individuare con certezza l’autorità di provenienza;
•l’articolo 25 del Dpr 602/1973 prevede unicamente la stampigliatura della denominazione della società cui è dato l’incarico di riscuotere al fine di consentire la contribuente l’individuazione della provenienza dell’atto.

Ctr Lombardia, sentenza 4754/19/2018

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