Imposte

Smart working, rimborsi spese non tassabili se basati su criteri analitici

Risposta a interpello 328: i costi del lavoratore vanno identificati in base a elementi oggettivi e documentabili

di Angelo Zambelli

L’agenzia delle Entrate ritorna sul tema dei rimborsi delle spese sostenute dai dipendenti in smart working con la risposta a interpello 328/2021 dell’11 maggio, chiarendo come l’adozione di criteri forfetari di quantificazione del rimborso non consente di beneficiare dell’esclusione dalla formazione della base imponibile fiscale e contributiva, in assenza di apposita previsione di legge.

Il caso analizzato dall’Agenzia riguarda un datore di lavoro interessato a concludere accordi individuali con il personale dipendente in smart working prevedendo il rimborso a forfait di una quota pari al 30% (8 ore di lavoro su 24) dei consumi effettivi addebitati al dipendente nelle fatture periodiche emesse a suo nome (o a nome del coniuge convivente) per le spese relative al costo della connessione a Internet, l’utilizzo della corrente elettrica, l’aria condizionata o il riscaldamento.

L’Agenzia, nell’occasione, sottolinea come i rimborsi spese possano essere esclusi da imposizione in capo al lavoratore se riguardano: (i) spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro ed anticipate dal dipendente (ad esempio, spese per acquisto di beni strumentali di modico valore, cfr. circolare n. 326/E del 1997); (ii) somme che non costituiscono un arricchimento del lavoratore (ad esempio, indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale, cfr. risoluzione n. 357/E del 2007) e (iii) erogazioni effettuate per esclusivo interesse del lavoratore (cfr. risoluzione n. 178/E del 2003).

Per quanto riguarda, invece, i rimborsi spese determinati in modo forfetario, l’esclusione dalla base imponibile può essere riconosciuta solo qualora il legislatore abbia previsto un criterio volto a determinare la quota di spesa che, essendo riferita all’uso effettuato dal lavoratore nell’interesse del datore di lavoro, può essere esclusa da imposizione (ad esempio, il caso dell’uso promiscuo delle autovetture).

Diversamente, al fine di evitare che il rimborso spese venga tassato in capo al dipendente occorre identificare i costi sostenuti dal lavoratore nell’interesse del proprio datore di lavoro in base ad elementi e parametri oggettivi, documentalmente accertabili. A tal fine, l’Agenzia suggerisce di adottare un criterio analitico che permetta di determinare per ciascuna tipologia di spesa la quota di costi risparmiati dalla Società e sostenuti dal dipendente.

La posizione delle Entrare si pone in continuità con quanto già indicato nella precedente risposta n. 314 del 30 aprile, laddove l’esclusione da tassazione del rimborso spese era stata concessa perché calcolata in base a parametri diretti a individuare i costi risparmiati dal datore di lavoro e sostenuti dal lavoratore in smart working.

Pur essendo evidenti le ragioni erariali alla base della risposta, è chiaro che l’adozione di un criterio forfetario agevolerebbe le imprese e i lavoratori, garantendo a entrambi un sollievo e un ristoro per i costi sostenuti nell’ambito dello smart working adottato per affrontare l’emergenza Covid-19.

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