Contabilità

Società 3.0: federazioni sportive, qualifica all’esame Ue

di Andrea Giordano

Il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di giustizia se la Figc sia soggetta all’obbligo della gara pubblica.

La questione pregiudiziale (ordinanza 1006/2019) si aggiunge a quella sollevata dalla Corte dei conti (e decisa dalla Corte Ue l’11 settembre scorso – cause riunite C-612/17 e C-613/17), che, dovendo stabilire se le federazioni sportive rientrassero nell’elenco nazionale Istat delle amministrazioni pubbliche, ha chiesto alla Corte di Lussemburgo se nel concetto di «intervento pubblico» possano ricomprendersi i particolari poteri del Coni sulle federazioni (ordinanze 31 e 32/2017). I dubbi hanno, del resto, radici lontane.

Se la legge 426/1942 aveva conferito alle federazioni colore pubblicistico, qualificandole come organi del Coni, la virata in senso privatistico veniva inaugurata dalla legge 91/1981, che riconosceva alle federazioni autonomia tecnica, organizzativa e di gestione. Eppure, il pendolo tra pubblico e privato ha continuato a oscillare.

Così, è stato con il Dlgs 242/1999, che, pur attribuendo alle federazioni la natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato, ha ratificato i poteri del Coni di vigilanza, di commissariamento e di riconoscimento delle stesse ai fini sportivi. I dubbi si attenuano nella prospettiva europea, che squarcia le etichette del diritto interno: alle astrazioni della forma strutturale, predilige la sostanza dell’attività svolta dal soggetto e dei fini perseguiti.

Questa è la cornice nella quale si inquadra la nozione di organismo di diritto pubblico, che non dà rilievo al carattere eventualmente privato del soggetto affidante, ma alla sostanza effettiva delle sue attribuzioni; se constano la personalità giuridica, la finalizzazione al soddisfacimento di esigenze di interesse generale, di carattere non industriale e commerciale, e l’influenza pubblica dominante, il soggetto è organismo di diritto pubblico e, quindi, vincolato alle regole dell’evidenza pubblica.

E il vaglio dei requisiti non può non avvenire in concreto, rifuggendo generalizzazioni a priori e, anzi, valorizzando l’eventuale capacità di autofinanziamento dell’ente e il concreto assetto dei poteri di Coni e Sport e salute Spa, anche alla luce dei prossimi decreti legislativi di riforma dell’ordinamento sportivo.

Se, poi, un soggetto può essere amministrazione pubblica anche soltanto a certi fini, dovrebbe pure rivestire la natura di organismo di diritto pubblico nelle sole attività in cui non opera in normali condizioni di mercato. Risiedendo la ratio della nozione nella tutela della concorrenza, ha senso impiegarla unicamente quando quest’ultima è potenzialmente a rischio.

Del resto, l’articolo 23 dello Statuto del Coni attribuisce valenza pubblicistica a una cerchia ristretta di attività. Certa giurisprudenza amministrativa distingue le attività che riguardano la vita interna dell’ente da quelle che realizzano interessi fondamentali e istituzionali dell’attività sportiva. Così, la giurisprudenza di legittimità ritiene sussistere la giurisdizione contabile in relazione alle attività che, come quella di direzione e controllo delle gare sportive, hanno colore pubblicistico.

Attrarre al pubblico qualsiasi attività delle federazioni è cosa non solo non richiesta dal diritto europeo, ma anche contraria ai principi di ragionevolezza e proporzionalità: aggrava la funzionalità degli enti, minando la stessa autonomia dell’ordinamento sportivo, senza che i valori concorrenziali ne traggano speculari benefici. Generalizzare il dovere della gara pubblica, anche in assenza della ratio sottesa agli organismi di diritto pubblico, significa imporre ingiustificati sacrifici alla macchina amministrativa che, senza vitalizzare il mercato, rischiano di condannare a morte le federazioni sportive.

In collaborazione con l’Istituto per il governo societario - Igs

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