Società agricole, la tassazione catastale va indicata nella dichiarazione Iva
Con la risoluzione n. 28/E/2018 l’agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito alle società agricole che optano per la tassazione catastale, che produrranno i loro effetti nella dichiarazione Iva 2018.
I soggetti interessati sono individuati dall’articolo 2 del Dlgs 99/2004, secondo cui possono rivestire la qualifica di società agricola, gli enti che hanno quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’articolo 2135 Cc, tra cui la coltivazione del fondo, la selvicoltura, l’allevamento di animali e le altre attività cd. connesse individuate dalla stessa norma, indicando nella ragione sociale il titolo di società agricola.
Successivamente, è intervenuto il comma 1093 dell’articolo 1 della legge 296/2006, il quale ha previsto la possibilità di optare per almeno un triennio per la tassazione su base catastale dei redditi prodotti dalle società di persone, dalle srl e dalle cooperative, che rivestono la qualifica di società agricola (articolo 32, Tuir).
L’esercizio dell’opzione è disciplinato dal Dm 213/2007, il quale richiama le disposizioni di cui al Dpr 442/1997. In particolare, le norme richiedono che l’adesione ad un particolare regime di determinazione dell’imposta, tra cui quello catastale per le società agricole, deve essere comunicata nella prima dichiarazione annuale Iva da presentare successivamente alla scelta operata.
Pertanto, coloro che intendono aderire al regime a partire dall’anno d’imposta 2017, devono barrare la prima colonna del rigo VO23 del modello Iva 2018. Tuttavia, l’articolo 1 del Dpr 442/1997 specifica che la scelta del contribuente è, anche, desumibile dal comportamento concludente dello stesso; ne consegue che l’omessa comunicazione nella dichiarazione annuale Iva non pregiudica l’opzione per la tassazione catastale.
A tal proposito, la risoluzione in parola ha chiarito che in questa ipotesi il comportamento concludente della società agricola si desume dai seguenti aspetti:
•versamento delle imposte determinate secondo il regime opzionale;
•indicazione della scelta nella dichiarazione dei redditi (quadro RF e RG di Redditi SP e quadro RF di Redditi SC).
Tale irregolarità non rientra nell’ambito applicativo della remissione in bonis perché, come chiarito dalla circolare n. 38/E/2012, la mancata comunicazione non comporta la decadenza dal beneficio, in quanto «riveste carattere esclusivamente formale, senza rilevare ai fini sostanziali della scelta operata» (risoluzione n. 28/E/2018). È comunque sanzionabile ai sensi del comma 1, articolo 11 del Dlgs 471/1997, con una sanzione da 250 a 2mila euro, la quale risulta riducibile per l’applicazione del ravvedimento operoso.