Adempimenti

Società di comodo e ricavi, nodo-codici in dichiarazione

Gli effetti dell’assenza di una «disapplicazione Covid» di portata generalizzata

di Giorgio Gavelli

Una delle questioni più delicate che le imprese e i loro consulenti devono affrontare al rientro dalle ferie riguarda quelle società che, a causa degli scarsi risultati 2020 per effetto del Covid-19, non raggiungono in dichiarazione i parametri necessari per essere qualificate come “operative”. In proposito è opportuno distinguere tra due differenti situazioni: la non operatività “tradizionale” legata ai ricavi e la fattispecie delle perdite sistematiche, trattate nell’articolo in basso.

Se il problema è dovuto agli insufficienti ricavi 2020, la società (che probabilmente a tutto pensa tranne che ad adeguarsi alle soglie di legge) può presentare interpello (entro il 30 novembre, termine di presentazione della dichiarazione, ma anticipato al 10 settembre per chi presenta l’istanza del «contributo perequativo» di cui al comma 16 dell’articolo 1 del decreto Sostegni-bis) oppure assumersi la responsabilità di dichiarare la presenza di una causa oggettiva di disapplicazione (codice “2” a colonna 4, 6 e 7 di rigo RS116 in Redditi SC).

A dire il vero, queste sono soluzioni prudenziali e di ripiego, dovute alla risposta resa dal Mef in Commissione Finanze nel corso del question time del 23 giugno scorso (prot. 5-06289, si veda il Sole 24 Ore del 24 giugno). Infatti, la soluzione “diretta” (e giuridicamente più corretta) prevede l’indicazione del codice “9” a colonna 2 del rigo RS116, in quanto (nella quasi totalità dei casi) si tratta di «società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari sono stati sospesi o differiti da disposizioni normative adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza» ai sensi dell’articolo 5 della legge 225/1992.

Ad avviso di chi scrive ci sono ben pochi dubbi che questa causa di disapplicazione (prevista dal provvedimento dell’11 giugno 2012) sia applicabile alla quasi totalità delle società interessate, come rilevato più volte su queste colonne (si veda il Sole 24 Ore del 6 aprile, del 28 settembre e del 4 dicembre 2020 e del 1° marzo 2021). Perché, allora, sussiste il problema? La risposta al question time cita una proposta di modifica normativa dell’aprile 2020, un emendamento al decreto Cura Italia approvato in commissione Finanze alla Camera, che aveva tentato di statuire la disapplicazione temporanea generalizzata della disciplina, naufragato di fronte alle osservazioni di mancata copertura finanziaria da parte della Ragioneria generale dello Stato.

Da qui la conclusione del Mef, volta a lasciare che le società «valutino caso per caso» in relazione alla specifica situazione. Una conclusione che avrà come conseguenza che in futuro saranno gli Uffici a «valutare caso per caso», con inevitabile esplosione del contenzioso. È presumibile che l’emendamento sia stato presentato non conoscendo la causa automatica di disapplicazione o, comunque, nell’incertezza dei primi mesi della pandemia, non potendo confidare in una sua applicazione quasi generalizzata. E anche i calcoli della Ragioneria, ci pare, sono stati influenzati dalla frettolosa considerazione che non vi sarebbe automatismo tra rinvio degli adempimenti tributari e disapplicazione della disciplina. Ma, in questa catena di equivoci, è sufficiente riflettere su alcune considerazioni per concludere che è stata scelta la strada sbagliata:

• tutte le società che hanno ricevuto i vari contributi a fondo perduto hanno già dimostrato un calo anomalo di fatturato;

• molte norme approvate durante la pandemia (la sospensione quinquennale delle norme codicistiche sulle perdite, la sospensione degli ammortamenti ecc.) hanno favorito le imprese senza distinguere «caso per caso»;

• la disciplina delle “società di comodo” mostrava già la corda ben prima del Covid, ed è evidente che i suoi meccanismi sono irrazionali ove riferiti al periodo d’imposta 2020;

• persino gli Isa sono stati disapplicati automaticamente per ben 167 attività, oltre a tutta una serie di altre situazioni specifiche per il 2020: perché per le società non operative si lascia tutto come prima?

Anzi, proprio l’incremento delle esclusioni Isa porterà molte società a porsi un problema che non c’era, in quanto, anche in presenza di buoni indicatori, non sarà attivabile la specifica causa di esclusione dalle società di comodo. Ma, anche qui, il ragionamento si inceppa: per quale motivo una società che nel 2020 ha avuto una diminuzione di oltre un terzo dei ricavi sul 2019 o che svolge una attività che è stata ritenuta, per decreto, fuori dalle capacità della misurazione statistica di affidabilità fornita dagli Isa, dovrebbe difendersi dalla presunzione di essere una “società di comodo”? Il rischio è quello di veder lievitare il numero degli interpelli (e dei ricorsi) in presenza di queste anomalie.

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