Diritto

Società, modifiche statutarie protette dall’azione revocatoria

Per la Cassazione sono atti interni non impugnabili dalla curatela. Valida l’abolizione della clausola che impone di ripianare il disavanzo

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di Angelo Busani

Le deliberazioni degli organi societari comportanti modificazioni statutarie sono atti meramente interni alla società che li adotta e, quindi, non suscettibili di essere impugnati dal creditore della società stessa con l’azione revocatoria di cui all’articolo 2901 del Codice civile, mediante la quale il creditore chiede al giudice di dichiarare inefficaci nei suoi confronti gli atti che il debitore compie diminuendo il suo patrimonio in pregiudizio del diritto del creditore di essere soddisfatto delle sue ragioni di credito.

È questa la decisione che la Cassazione adotta nella sentenza 6384/2023, riformando una sentenza della Corte d’appello di Napoli che, in conformità alla sentenza del giudice di primo grado, aveva invece ammesso l’azione revocatoria verso la deliberazione dell’assemblea dei soci di una società consortile con la quale era stata abolita la clausola statutaria (assai frequente nei consorzi e nelle società consortili, per loro stessa natura e organizzazione) secondo la quale i soci consorziati dovevano considerarsi obbligati a ripianare il disavanzo di gestione che la società consortile avesse eventualmente maturato in ogni suo esercizio.

Essendo poi fallita la società consortile, la curatela fallimentare aveva promosso l’azione revocatoria verso la predetta deliberazione, con l’obiettivo di farla dichiarare inefficace, in modo da far “rivivere” la clausola statutaria soppressa, con la conseguenza che la curatela, a quel punto, avrebbe potuto agire verso i singoli soci consorziati per pretendere l’adempimento delle obbligazioni contratte dalla società e rimaste inadempiute a causa del fallimento.

La Cassazione ribalta le decisioni assunte nei due giudizi di merito osservando che l’azione revocatoria non può essere esercitata nei confronti di deliberazioni modificative dello statuto, in quanto tali atti non hanno effetti esterni alla società, in termini di incidenza sulla garanzia patrimoniale che la società offre con il suo patrimonio, dato che si tratta di atti compiuti unicamente con riferimento alla gestione e all’organizzazione del soggetto giuridico. L’azione revocatoria è invero esercitabile con riguardo agli atti che la società compia con rilevanza esterna e che si concretino in un pregiudizio per le ragioni dei suoi creditori.

Secondo la Corte di legittimità, la natura “interna” di un atto societario esclude, logicamente prima ancora che giuridicamente, che esso sia assoggettabile a una impugnazione da parte di soggetti diversi da quelli che partecipano alla struttura della società stessa. A tal riguardo la Cassazione rammenta che, per gli atti di rilevanza interna alle società, la legge appresta, a vantaggio dei terzi, un solido apparato di tutela (oltre all’azione di annullabilità spettante ai soci in base all’articolo 2377 del Codice civile), ossia:

a) il diritto di opposizione concesso ai creditori nell’ambito delle operazioni di riduzione volontaria del capitale sociale, di fusione e di scissione, nel caso in cui i creditori adducano che esse comportino una lesione alle loro ragioni di credito;

b) l’ impugnativa di nullità prevista dagli articolo 2379 e 2379-ter del Codice civile, esperibile da chiunque ne sia interessato e, quindi, anche dai creditori sociali.

Al di fuori di questi casi non risulta pertanto ammissibile un’ulteriore azione, come l’azione revocatoria, che possa privare di effetti le deliberazioni di modifica statutaria adottate dal competente organo societario.

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