Imposte

Società semplice, sui dividendi esteri è decisiva la ritenuta

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di Francesco Nobili e Marco Piazza

Il decreto fiscale – con l’articolo 32-ter – risolve la questione relativa al trattamento fiscale dei dividendi conseguiti da una società semplice, che si considerano percepiti dai soci di quest’ultima con l’applicazione del corrispondente regime fiscale (si veda il Sole 24 Ore del 3 dicembre scorso). Il problema non è invece risolto per i dividendi di fonte estera (si veda il Sole 24 Ore del 10 dicembre scorso).

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Il primo periodo del comma 1 sembra prevedere un principio di carattere generale che si riferisce a tutti i dividendi (senza alcuna distinzione). Tuttavia, il secondo periodo, che esplicita le modalità di tassazione in capo ai soci, fa riferimento esclusivamente agli utili corrisposti alla società semplice dalle società ed enti residenti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c), Tuir e non anche dalle società ed enti non residenti di cui alla lettera d) dello stesso comma 1.

Non si vede peraltro per quale motivo i dividendi di fonte estera dovrebbero subire un trattamento differente (e in genere più penalizzante) rispetto ai dividendi italiani. Infatti, la ratio della nuova disposizione è quella di istituire un principio di trasparenza per i dividendi percepiti dalla società semplice e, di conseguenza, di applicare il medesimo regime fiscale che si verifica in caso di percezione diretta da parte dei soci (come previsto espressamente dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 32-ter).

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea un trattamento fiscale differenziato tra i dividendi distribuiti da una società residente e i dividendi distribuiti da una società stabilita all’estero, anche in uno Stato non Ue, rientra fra le misure vietate dall’articolo 63, paragrafo 1, Tfue, trattandosi di una restrizione dei movimenti di capitali (si veda, da ultimo, la sentenza C685/16 e la giurisprudenza ivi citata). Questa è esattamente la discriminazione che si riscontra nella legge italiana: in assenza di una espressa previsione normativa, infatti, i dividendi di fonte estera, a differenza di quelli italiani, concorrono alla formazione del reddito imponibile dei soci per il loro intero ammontare. Ciò, oltre a comportare gli effetti economici sotto descritti, complica estremamente la gestione dei dossier contenenti azioni estere (in quanto tutti i dividendi incassati dalla società semplice, invece di subire una tassazione secca, devono essere indicati nel modello Redditi dei soci).

Gli esempi
La sperequazione è evidente con alcuni esempi numerici relativi all’incasso di dividendi pari a 100 da parte di una società semplice con soci persone fisiche “non imprenditori” sotto un profilo fiscale, rispetto all’incasso diretto da parte di questi ultimi.

Per effetto della nuova disposizione, i dividendi di fonte italiana (caso 1 nella scheda con le simulazioni) incassati da una società semplice subiscono il medesimo carico fiscale rispetto all’incasso diretto da parte dei soci (ritenuta di imposta/imposta sostitutiva del 26%), con un incasso netto dei soci di 74.

Per quanto riguarda i dividendi di fonte estera si è ipotizzato che la ritenuta d’imposta applicata nel Paese estero sia pari al 10 per cento:

sui dividendi distribuiti direttamente alla persona fisica (caso 2 nella scheda con le simulazioni) viene applicata dall’intermediario italiano la ritenuta d’imposta del 26% sul cosiddetto netto frontiera (90), con un carico fiscale italiano pari a 23,4. L’effetto fiscale totale è quindi di 33,4 (di cui 10 pagato all’estero e 23,4 pagato in Italia), con un incasso netto dei soci di 66,6;

i dividendi di fonte estera distribuiti alla società semplice (caso 3 nella scheda con le simulazioni) concorrono alla formazione del reddito imponibile Irpef dei soci per il loro intero ammontare, con l’obbligo di indicazione nel modello Redditi. Ipotizzando l’applicazione dell’aliquota Irpef più elevata (43%, senza considerare le addizionali), dall’imposta italiana pari a 43 può essere detratta la ritenuta estera di 10 nel rispetto dei criteri previsti dall’articolo 165, Tuir (Credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero). L’effetto fiscale totale è quindi di 43 (di cui 10 pagato all’estero e 33 pagato in Italia), con un incasso netto dei soci di 57.

Come si vede, il carico fiscale sui dividendi esteri è comunque superiore a quello sui dividendi italiani, per effetto dell’applicazione della ritenuta estera. Il trattamento fiscale dei dividendi esteri percepiti dalla società semplice è più penalizzante rispetto alla percezione diretta da parte dei soci.

L’effetto delle ritenute estere
La differenza tende ad attenuarsi (o addirittura a essere di segno inverso) se la ritenuta applicata nel Paese estero aumenta.

Ad esempio, se la ritenuta estera è del 20% (caso 4 nella scheda con le simulazioni), il carico fiscale totale è di 40,8 (di cui 20 pagato all’estero e 20,8 pagato in Italia), contro i 43 dovuti in caso di incasso diretto da parte dei soci (caso 5 nella scheda con le simulazioni).

Con riferimento ai casi 3 e 5 (incasso diretto dei soci), secondo il Fisco italiano (si veda l’appendice alle istruzioni alla al modello Redditi PF, Fascicolo 2 e circolare 9/E del 2015), in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni, il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero non può essere superiore alla ritenuta convenzionale, in quanto l’eccedenza rispetto alla ritenuta ordinariamente applicabile deve essere richiesta a rimborso al Fisco estero.

Un altro aspetto da chiarire è quello relativo al trattamento dei dividendi (anche di fonte italiana) percepiti da una società semplice con soci non residenti. Infatti, il secondo periodo del comma 1 dell’articolo 32-ter (lettere a), b) e c)) non ricomprende espressamente tra i soci ai quali si applica la nuova disposizione normativa i soggetti non residenti.

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