Contabilità

Società semplici, cessione beni esentasse

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di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

Nella risposta a un interpello formulato da un contribuente (protocollo 901-526/2017) la Dre del Piemonte ha fornito un importante chiarimento su un tema diffuso: quello di una società semplice in sede di scioglimento che assegna ai propri soci beni immobili posseduti da oltre cinque anni. La conclusione a cui arriva la Dre è che in questo caso non si genera reddito imponibile né sulla società né in capo ai soci.

La considerazione di partenza è che esistono due tipologie di società di persone: quelle commerciali, che producono sempre reddito di impresa, e le società semplici, che per definizione non possono svolgere attività commerciale e che quindi determinano il loro imponibile applicando le regole delle singole categorie di redditi.

Quando una società di persone assegna immobili ai propri soci, gli effetti sono diversi per i due tipi di società. Per le società in nome collettivo o in accomandita semplice si applicano le norme del Tuir sul reddito di impresa, e quindi si determina una plusvalenza da assegnazione.

Se invece siamo in presenza di una società semplice, per la quale le tipologie di redditi sono altre, nel caso di assegnazione di immobili si deve fare riferimento alla categoria dei redditi diversi. Per i fabbricati, in particolare, l'articolo 67, comma 1, lettera b del Tuir esclude da tassazione la plusvalenza nel caso di possesso oltre i cinque anni.

La ricaduta reddituale dell'assegnazione in capo ai soci è una diretta conseguenza di quanto accade in capo alla società. In generale, le ipotesi di recesso e di liquidazione delle società di persone sono regolate dall'articolo 20 bis del Tuir, che è una norma di quantificazione del reddito: essa rinvia infatti all'articolo 47, comma 7, di fatto prevedendo la tassazione della differenza tra valore normale ricevuto e costo fiscale riconosciuto della partecipazione.

La qualificazione di questa componente reddituale è tra i “redditi di partecipazione”; su questo aspetto la circolare 6/E del 13 febbraio 2006 ha chiarito che «poiché i redditi di partecipazione non costituiscono un'autonoma categoria reddituale, essi assumono la natura della categoria reddituale da cui traggono origine» .

Quindi, se l'assegnazione viene fatta da una società commerciale, la società realizza un reddito di impresa e quindi i soci devono quantificare il loro reddito (per competenza) applicando l'articolo 20 bis in base alla differenza tra valore normale del bene ricevuto e costo fiscale della loro quota.

Quando siamo in presenza di una società semplice, invece, sulla società non vi è presupposto impositivo, pertanto nessun reddito deve essere imputato ai soci.

Del resto, come nota la Dre, se la società semplice avesse ceduto i beni realizzando una plusvalenza, questa non sarebbe stata imponibile in base alla previsione dell'articolo 67 del Tuir.

Osserviamo che in questa ultima ipotesi la società semplice, dopo la cessione, potrebbe provvedere in un secondo passaggio a distribuire ai soci le somme ricavate dalla vendita degli immobili. Anche in questo caso non vi sarebbe reddito tassabile sui soci, visto che vengono distribuiti proventi non imponibili sulla società; una conferma esplicita è contenuta nella risposta fornita ad un interpello dalla Dre della Lombardia (protocollo 43393 del 22 aprile 2013).

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