Sovraindebitamento, nell’accordo anche il taglio del credito fiscale
Anche per l’accordo di composizione della crisi da indebitamento, riservato al debitore non fallibile, cade il divieto di soddisfazione parziale dell’Iva. La Corte costituzionale ( sentenza 245/2019 depositata ieri ), ha affermato l’illegittimità dell’articolo 7, comma 1, terzo periodo della legge 3/2012, relativo alle crisi da sovraindebitamento, per la parte in cui nega la possibilità di falcidiare l’Iva, mettendo in atto una disparità di trattamento con gli imprenditori e anche con i loro creditori, per i quali è possibile la soddisfazione parziale dei crediti privilegiati tributari, Iva compresa. La Consulta ricorda che il no alla falcidia riguardava anche la legge fallimentare, nella quale era stato espressamente inserito nel 2010 estendendolo alle ritenute fiscali, con il placet della giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Uno sbarramento giustificato dalla natura dell’Iva: un’ imposta armonizzata a livello comunitario come risorsa propria dell’Unione Europea. Ma l’inversione di rotta è arrivata proprio dagli eurogiudici. La Corte di giustizia, con la sentenza Degano trasporti del 2016, ha, di fatto, sdoganato il pagamento parziale dell’imposta da parte dell’imprenditore insolvente nell’ambito del concordato, negando che tale possibilità sia una rinuncia indiscriminata alla riscossione del tributo e che sia contraria all’obbligo degli Stati di garantire il prelievo integrale dell’Iva.
Il via libera è giustificato quando la soddisfazione parziale è comunque più conveniente della liquidazione. I principi della Corte di giustizia, ribaditi nel 2017, hanno creato la base dell’attuale articolo 182-ter, modificato dalla legge 232/2016, in virtù del quale dal 1 gennaio 2017, per le domande di concordato preventivo non ci sono più limiti sul tipo di tributi “falcidiabili”.
La Corte ricorda che il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, con norme operative solo per le procedure instaurate dopo il 15 agosto 2020, prevede, una volta in vigore, il pagamento non integrale dei crediti privilegiati, compresi i tributari, anche per la ristrutturare i debiti dei non fallibili.
Resta in piedi solo il divieto posto dalla norma censurata dal tribunale remittente di Udine (lo stesso che aveva posto la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia). Una differenza di trattamento incomprensibile, avendo come termine di paragone la legge fallimentare e valorizzando il parallelismo che esiste - sia rispetto alla procedura che alla filosofia di fondo - tra l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento e il concordato preventivo disegnato dalla legge fallimentare. In entrambe le procedure, malgrado i diversi interessi dei soggetti che possono accedere, viene consentita l’esdebitazione, evitando la liquidazione e favorendo la ricollocazione del debitore nel circuito economico e sociale. In questo quadro è chiaro il peso che hanno le previsioni relative al regime dei crediti privilegiati, tributari compresi. L’esigenza di seguire la regola generale della falcidia si giustifica anche alla luce dei canoni di efficienza ed economicità ai quali è improntata l’azione della Pa. In considerazione della minor convenienza della liquidazione, l’esigenza di soddisfazione integrale del crediti deve dunque cedere il passo al pagamento parziale.
Corte costituzionale, sentenza 245/2019