Spetta al giudice la verifica dell’eccezione di un giudicato esterno
In presenza di un’eccezione di giudicato esterno, grava sul Giudice la verifica dell’effettiva esistenza di una pronuncia avente tale portata in quanto, il giudicato esterno, è assimilabile agli elementi normativi e il suo accertamento, finalizzato a evitare la formazione di giudicati discordanti, è realizzabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio.
A fornire questa puntuale interpretazione è la Cassazione con l’ ordinanza 16553/2018 .
Una Spa ha impugnato il provvedimento con il quale l’agente per la riscossione ha accolto l’istanza di rateizzazione ex articolo 19 del Dpr 602/1973, relativa alla pretesa tributaria, eccependone l’illegittimità per errata determinazione degli interessi e di dilazione in violazione del Dm 28/07/2000.
La Ctp dichiarava l’inammissibilità del ricorso ritenendo che il provvedimento di rateazione non rientrasse tra gli atti impugnabili ex articolo 19 del Dlgs 546/1992 ma, avverso la sentenza dei Giudici di prime cure, ha interposto gravame l’ente contribuente, riproponendo le medesime difese svolte in primo grado.
La Ctr ha riformato la sentenza, interpretando estensivamente il citato articolo 19 e riconoscendo la giurisdizione del Giudice tributario anche in materia di interessi relativi al tributo.
Avverso la sentenza della regionale l’Agente ha presentato ricorso per Cassazione mentre la contribuente ha resistito con controricorso, eccependo l’esistenza del giudicato con riferimento al calcolo degli interessi di mora.
Nella sua istanza l’agente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione, ex articolo 360 n. 3, Codice di procedura civile, degli articoli 19, 21 e 30 del Dpr 602/1972, censurando la pronuncia di appello per aver ritenuto inapplicabili gli interessi di mora, sebbene l’articolo 30 del Dpr citato prevedesse espressamente l’applicazione degli interessi a partire dalla data di notifica della cartella e fino alla data di pagamento al tasso annualmente determinato con decreto del Ministero delle Finanze (Dm 28/07/2000).
Per il Collegio di legittimità il ricorso è infondato in quanto, nonostante l’eccezione di giudicato sollevata dalla Spa la quale, in altro giudizio, aveva contestato la debenza degli interessi di mora liquidati con gli avvisi di intimazione recanti il debito tributario successivamente rateizzato, la Ctr, con sentenza n. 232/07/12 passata in giudicato, allegata al ricorso e già prodotta nel giudizio di merito, ha dichiarato la non debenza degli interessi di mora sul carico iscritto a ruolo. La contribuente, tramite memoria, ha eccepito nel giudizio di appello la sussistenza del giudicato in ordine alla non debenza degli interessi di mora inclusi nel provvedimento di dilazione, ma i giudici di seconde cure hanno accolto il gravame senza esaminare la dedotta eccezione. Tuttavia, per il Collegio di piazza Cavour, a fronte di una pregiudiziale di giudicato esterno, è compito del Giudice di legittimità verificare l’effettiva esistenza di una pronuncia avente tale valenza in quanto, il giudicato esterno è assimilabile agli elementi normativi e il suo accertamento, mirando a evitare la formazione di giudicati contrastanti, è effettuabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, in quanto corrisponde a un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione (Cassazione, sezioni unite, sentenza 13916/2006).
I giudici di legittimità, pertanto, hanno evidenziato che l’eccezione di giudicato è stata sollevata dalla parte compiutamente con l’allegazione di specifiche e autosufficienti deduzioni, che hanno consentito di accertare che la materia del contendere oggetto del processo in corso è coperta, in tutto o in parte, dal giudicato formatosi in altro, precedente, giudizio (Cassazione, sentenza 25432/2017).
La pronuncia appare condivisibile in quanto qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative a un punto fondamentale comune a entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo e il petitum del primo. (Cassazione, sentenze 155/2014 e n. 8614/2011).
Cassazione civile, sezione V, ordinanza 16553 del 22 giugno 2018