Controlli e liti

Srl a base ristretta, la Cassazione: anche i costi indeducibili legittimano la rettifica ai soci

L’ordinanza 25501/2020 sancisce l’equiparabilità ai ricavi in nero

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di Dario Deotto

Anche i costi indeducibili possono legittimare la rettifica nei confronti dei soci di una Srl a ristretta base partecipativa. Lo ha stabilito l’ordinanza 25501/2020 della Cassazione del 12 novembre. Secondo i giudici di legittimità, i costi fiscalmente indeducibili sarebbero equiparabili - per i soci di società a ristretta base partecipativa - ai maggiori ricavi in nero, «dovendosi …ritenere che i costi fiscalmente non deducibili sono, per loro natura, costi neutrali ai fini fiscali, nel senso che di essi non è dato tener conto ai fini della determinazione della base imponibile, la quale è da ritenere essere stata comunque alterata in caso di costi erroneamente ritenuti deducibili, con conseguente inevitabile ricaduta sulla quantificazione delle imposte dovute». C’è - davvero – da rimanere smarriti.

Spesso accade che l’agenzia delle Entrate, dopo avere accertato un maggiore reddito nei confronti della società di capitali, estenda gli effetti di tale rettifica nei confronti dei soci, in ragione del fatto che la compagine sociale risulta composta da un numero ristretto di soggetti e/o della sua composizione a carattere prevalentemente familiare.

Questo tipo di rettifica ha trovato quasi sempre l’avallo della Cassazione. Secondo quest’ultima, infatti, nel caso di società di capitali a ristretta base sociale, risulta ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati in ragione della ristrettezza della base sociale e del vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che caratterizza una simile gestione sociale.

Si tratta di una presunzione cosiddetta “giurisprudenziale” giustificata dal consolidato ed univoco indirizzo della stessa giurisprudenza.

Le presunzioni cosiddette giurisprudenziali consistono in una sorta di manipolazione (giurisprudenziale) della distribuzione degli oneri probatori. In sostanza, utilizzando questo modello, il giudice inverte la regola generale in materia di distribuzione dell’onere della prova. Pur non essendo in presenza di una presunzione legale relativa, sarebbe il contribuente, infatti, a dovere fornire prova idonea a vincere la presunzione.

Si tratta però di presunzioni che nel diritto tributario non dovrebbero trovare applicazione.
Questo non solo perché vanno ad attribuire un onere di prova nei confronti di un soggetto (il contribuente) che non ne dovrebbe risultare onerato, ma anche perché attribuiscono un onere di prova generalmente negativo in capo a quest’ultimo (la prova che il socio di una Srl a ristretta base partecipativa non ha “intascato” l’utile in nero della società) che, di fatto, costituisce una probatio diabolica.

Queste restrizioni e alterazioni probatorie, nel momento in cui rendono l’onere probatorio a carico del contribuente di fatto impossibile o, comunque, difficile da adempiere, si pongono in contrasto, a parere di chi scrive, sia con l’articolo 24 della Costituzione che con il principio della capacità contributiva (oltre che dell’articolo 6 Cedu). Sono solo i fatti positivi, infatti, che possono formare oggetto di prova.

Ulteriormente, sotto il profilo sostanziale, va sottolineato che, se è vero che può risultare probabile che l’utile o il ricavo occulto venga distribuito ai soci di una società a ristretta base partecipativa, può però allo stesso modo risultare altrettanto plausibile che con le stesse somme si siano create riserve occulte oppure che le stesse siano state utilizzate per altri usi. In sostanza, quello che si vuole dire è che, nel caso specifico, l’Agenzia dovrebbe provare che la distribuzione ai soci degli utili in nero è la destinazione più probabile di tutte. Altrimenti, gli uffici dovrebbero attivarsi per ricercare ulteriori “fatti-indice” presuntivi, come possono esserlo quelli derivanti dai movimenti bancari attribuibili al socio oppure l’acquisto da parte dello stesso socio di beni di particolare valore non giustificabili dall’entità del reddito dichiarato.

Il fatto è che gli uffici – proprio perché “confortati” dalla giurisprudenza della Cassazione – continuano generalmente ad accertare, a fronte di una rettifica di maggiori ricavi nei confronti della società pari, ad esempio, a 1.000, il medesimo importo nei confronti dei soci come utile distribuito. Ed è proprio su questo punto che occorre fare un ancora successivo ragionamento. Gli uffici effettuano l’accertamento “trasferendo” ai soci (come «utili in nero»), infatti, lo stesso imponibile accertato in capo alla società, senza (nemmeno) scomputare le maggiori imposte accertate nei confronti di quest’ultima.

Tuttavia l’«utile» percepito dai soci può essere presuntivamente considerato tale soltanto se viene depurato dalle imposte gravanti sulla società in relazione al maggiore reddito accertato nei confronti della stessa.

Altrimenti, occorre rilevare che l’accertamento effettuato nei confronti dei soci per il medesimo imponibile accertato nei confronti della società di capitali a ristretta base partecipativa assume, di fatto, la connotazione di una rettifica riguardante un maggiore reddito d’impresa attribuito per trasparenza ai soci stessi. Non si tratta, in sostanza, di un reddito di capitale.

Così che l’accertamento eseguito nei confronti dei soci, senza scomputare le maggiori imposte accertate nei confronti della società, appare illegittimo in quanto effettuato in dispregio alle specifiche norme (articoli 5 e 116 del Tuir) che stabiliscono l’attribuzione ai soci di un reddito d’impresa per trasparenza.

Questo – a maggior ragione – se, come stabilito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 25501/2020, si ammette la rettifica nei confronti dei soci di società a ristretta base partecipativa anche in ragione di costi ritenuti indeducibili per la società. In questo caso si tratta indubbiamente di un maggior reddito (della società) attribuito (illegittimamente) per trasparenza ai soci.

Peraltro, è (più che) evidente che non si può in alcun modo ipotizzare la distribuzione ai soci di costi o spese indeducibili. In questo caso la società non ha percepito nulla (in nero) di potenzialmente distribuibile: non vi è, in sostanza, alcun ricavo extracontabile che la società ha poi (presuntivamente) distribuito ai propri soci.

Pronunce come quelle dell’ordinanza n. 25501/2020 lasciano davvero sgomenti.


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