Controlli e liti

«Stabile» senza deduzione degli interessi passivi oltre il fondo di dotazione

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di Massimo Romeo

La stabile organizzazione in Italia non può portare in deduzione dal reddito imponibile gli interessi passivi sui finanziamenti erogati dalla casa madre estera per la quota parte che eccede il fondo di dotazione effettivo.Questo il principio che emerge dalla sentenza 196/19/2018 della Ctp Milano (presidente Citro, relatore Pilello).

La vicenda
Il caso finito all’attenzione dei giudici tributari milanesi riguardava l’impugnazione di alcuni avvisi di accertamento tramite i quali il Fisco rettificava le dichiarazioni dei redditi, ai fini Ires ed Irap, presentate dalla stabile organizzazione di una società francese (casa madre), determinando maggiori imposte.
Il focus della controversia consisteva nella parziale contestazione della deducibilità degli interessi passivi su finanziamenti concessi dalla casa madre; l’entità degli interessi passivi non riconosciuti in deduzione conseguiva alla determinazione, da parte dell’agenzia delle Entrate, di un ’’ fondo di dotazione effettivo” della branch italiana della società francese , ritenuto necessario per supportare l’attività creditizia svolta in Italia e determinato dall’Ufficio attraverso gli indici di capitalizzazione richiesti dalla Banca d’Italia che portavano ad un risultato notevolmente superiore rispetto al fondo effettivo, ovvero quello dichiarato dalla ricorrente.
La ricorrente eccepiva la non operatività per gli anni accertati dell’articolo 152 Tuir, ritenendo che per quegli anni non esistesse alcuna norma italiana di carattere tributario che obbligasse una stabile organizzazione in Italia di una società residente in un altro Stato europeo ad istituire, e mantenere, un determinato fondo di dotazione, obbligo introdotto per la prima volta con il Dlg 147/2015; aggiungeva altresì che il report Ocse, menzionato dall’Ufficio, non costituisce una fonte normativa e che si era così verificata una doppia imposizione sullo stesso reddito, in contrasto con il principio di libertà di circolazione dei capitali previsto dal Tfue oltre che violazione della convenzione Italia/Francia.
L’Ufficio difendeva gli atti impositivi emessi sottolineando che il Fondo di dotazione era da quantificare in applicazione delle direttive Ocse e delle regole di vigilanza della Banca d’Italia che portano ad individuare la composizione del «patrimonio di vigilanza», ovvero i mezzi propri necessari per l’esercizio dell’attività creditizia; evidenziava altresì che l’articolo 7 della convenzione contro la doppia imposizione tra Italia e Francia era da ritenere la fonte normativa istitutiva dell’obbligo di previsione di un fondo di dotazione per ogni stabile organizzazione.

La decisione
Il collegio, prendendo atto dei contrastanti pronunciamenti in materia, ritiene di dover focalizzare l’attenzione sul contesto nel quale si inserisce l’unico punto controverso, ovvero il diritto dello Stato italiano di tassare il reddito prodotto nel territorio italiano, diritto consacrato nel corpo della convenzione Italia/Francia richiamata dall’Ufficio. Per poi affrontare il tema dell’idoneità degli strumenti giuridici legittimanti gli avvisi di accertamento impugnati.

Sul primo tema i giudici partono dal presupposto che la presenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato che ha sottoscritto la convenzione Ocse comporta la tassazione esclusivamente del reddito prodotto in quello Stato; tale principio viene recepito nell’ordinamento interno dall’articolo 151 del Tuir , norma che va letta in coordinazione con l’articolo 23 , che alla lettera e) del comma I precisa che «si considerano realizzati nel territorio dello Stato i redditi d’impresa derivanti da attività svolte mediante stabile organizzazione»; l’articolo 152 prevede poi che «per le società e gli enti commerciali con stabile organizzazione nel territorio dello Stato il reddito della stabile organizzazione è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili».

Da qui la necessità di stabilire un criterio in funzione del quale possa determinarsi, con attendibile certezza, il reddito riferibile alla stabile organizzazione, criterio che i giudici individuano sempre nel principio elaborato in sede Ocse ovvero che il reddito da tassare è quello che si sarebbe determinato nella ipotesi in cui la struttura operante in Italia fosse totalmente separata ed indipendente rispetto alla casa madre di cui è emanazione sul territorio italiano.

Fissati i principi di riferimento lo sforzo da compiere era quello previsto dall’articolo 152 del Tuir nella parte in cui stabilisce che , ai soli fini della determinazione del reddito, la stabile organizzazione si considera entità separata e indipendente. svolgente le medesime operazioni, in condizioni identiche o similari, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati.

Lo sforzo di astrazione, prosegue il collegio, porta inevitabilmente alla necessità di determinare le risorse finanziarie proprie di cui la stabile organizzazione italiana dovrebbe essere dotata per poter svolgere le proprie funzioni ed assumerne i rischi ; come dire che senza quel patrimonio, se fosse totalmente indipendente dalla casa madre, non avrebbe potuto assumere quei rischi e dare quelle coperture assicurative che in effetti ha dato. Determinato quindi il “ free capital” si prosegue con l’individuazione dei componenti reddituali attribuibili alla stabile , tenuto conto delle transazioni e delle operazioni con i terzi e con la casa madre.

A questo punto i giudici milanesi affrontano la questione del criterio adottato dal Fisco per la determinazione del fondo di dotazione della stabile. Sul punto sottolineano come sia necessario tenere fuori dalla disputa il fuorviante concetto di “vigilanza sull’attività bancaria”, fonte di confusione e causa di giudizi contrastanti; non viene messo in discussione il potere di “sorveglianza” sull’attività degli Istituti bancari che resta incontestabilmente in capo alle autorità di vigilanza dei singoli Stati in cui è ubicata la casa madre.Il ricorso alle direttive della Banca d’Italia, prosegue il collegio, ha la finalità di riparametrare patrimonio e conto economico della stabile organizzazione come se si trattasse di impresa indipendente operante in Italia pervenendo ad un giudizio di congruità degli interessi passivi esposti.

Alla luce di tali considerazioni la Commissione respinge il ricorso considerando legittimo l’operato dell’amministrazione Finanziaria.

Ctp Milano, sentenza 196/19/2018

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