Imposte

Stabili organizzazioni, l’attività promozionale è soggetta a Iva

La conclusione dei contratti della casa madre è un ruolo attivo nell’operazione

L’attività promozionale svolta dalla stabile e diretta a facilitare la conclusione dei contratti della casa madre determina un suo ruolo attivo nell’operazione che, pertanto, è soggetta ad Iva italiana.

La risposta delle Entrate n. 336/E di ieri affronta il tema della territorialità delle prestazioni di servizi alla cui realizzazione contribuisce una stabile organizzazione. La questione è sottile perché, dato per scontato che ci siano i presupposti di esistenza della stabile, occorre verificare fino a che punto essa è coinvolta nell’attività svolta dalla casa madre verso i clienti finali, affinché l’intera operazione sia tassabile nel Paese in cui è situata la stabile (l’Italia nel caso di specie). Nello specifico la stabile svolge attività promozionale nei confronti di potenziali clienti italiani allo scopo di facilitare la contrattualizzazione del servizio di gestione individuale di portafogli svolta dall’head office lussemburghese. In altre parole, essa si cura della fase preparatoria e prodromica alla realizzazione delle prestazioni svolte poi dall’head office.

Considerati tali elementi di fatto e sulla base delle norme che definiscono il perimetro di operatività della stabile, l’Agenzia considera il ruolo che la stabile organizzazione svolge in riferimento alle suddette operazioni come attivo e qualificante, idoneo a dotarle di un certo grado di autonomia. Non si tratterebbe questa, a dire delle Entrate, di un’ipotesi in cui la stabile svolge a favore della casa madre meri compiti di supporto amministrativo. Vero è che – come recita l’articolo 192-bis della direttiva Iva – il fatto che la stabile stipuli contratti in nome e per conto della capogruppo o si occupi del marketing e dei rapporti con i clienti non è di per sé sintomo del suo intervento qualificante nelle operazioni effettuate dalla casa madre.

Tuttavia, la valutazione che va fatta sul piano fattuale porta le Entrate a escludere, in riferimento al caso di specie, l’irrilevanza del coinvolgimento della branch italiana, la quale esercita attività di promozione e commercializzazione del servizio di gestione di portafoglio, determinando una parte significativa del fatturato della casa madre. Il fatto che quest’ultima retroceda alla branch a titolo di corrispettivo circa il 40% delle commissioni dalla stessa incassate dai clienti italiani sarebbe il segnale che l’attività svolta dalla branch all’head office non possa qualificarsi residuale.

Dopo la risposta di ieri, si aprono nuovi rischi per le branch italiane dei soggetti esteri. Il loro coinvolgimento rispetto alle operazioni concluse dalle case madri potrebbe essere inteso dal Fisco in maniera più significativa rispetto a quello inteso tra le parti con tutte le conseguenze in termini di Iva che esso comporta.

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