Finanza

Start up italiane, mal di crescita. Dieci ricette per correre davvero

Dalla eccessiva diluizione della compagine alla governance e ai veti:  come sostenere le società innovative

di Massimiliano Carbonaro e Valeria Uva

Crescono, non hanno un tasso di mortalità preoccupante, ma mantengono la tendenza ad essere in perdita per i primi anni di vita secondo i dati rilevati dal Mise che monitora l’andamento delle start-up innovative. E a restare inesorabilmente piccole, con un volume della produzione di 171mila euro in media. Sono ancora deboli le start up italiane : secondo il report internazionale “The Global Startup Ecosystem” di Startup Genome e Entrepreneurship Network mostra l’Italia non è tra i top 30 del ranking dedicato agli ambienti più favorevoli per le start up. Mentre nel mondo ci sono ben 830 realtà che superano il miliardo di dollari di fatturato (+47% sul 2020)..

I numeri
Eppure il Registro delle imprese testimonia che al termine del secondo trimestre di quest’anno il numero delle start up innovative registrate è aumentato di 1.021 unità, portandosi a 13.582 in totale (+8,1% rispetto al primo trimestre 2021). Inoltre secondo la relazione 2020 del Mise sull’andamento delle politiche a sostegno di questo tipo di imprese, le start up «hanno un tasso di sopravvivenza molto elevato»: più dell’80% delle aziende in esame risulta ancora in attività: sono imprese costituite prima del 2013 e attive ancora nel 2019 quindi non più iscritte al Registro perché hanno superato i 5 anni previsti che caratterizzano una start up.

Ma permane, avendo tempi di accesso al mercato piuttosto lunghi, la tendenza a essere in perdita (oltre il 52% nel 2019) e a rimanere piccole: ancora a 171mila il valore medio della produzione, molto lontano dalla soglia cosiddetta di scale up di 5 milioni.

C’è insomma ancora tanto da fare e in questa direzione va una sorta di “manuale di sopravvivenza” per le start up sostenibili. A realizzarlo è lo studio legale Portolano Cavallo grazie alla partner Antonia Verna, responsabile dell’area Startup & Venture Capital con la collaborazione dell’associate Chiara Sannasardo. «Un’azienda che intende sviluppare le sue potenzialità – spiega Verna – ha bisogno di una organizzazione manageriale efficiente e lungimirante sin dalla nascita, per favorire la crescita del business e attirare nuovi investitori».

Le regole di sopravvivenza
Il decalogo (sintetizzato a fianco) è denso di consigli pratici per avviare un’impresa in modo innovativo e sostenibile. I suggerimenti possono essere divisi in tre macro categorie: una parte si occupa della struttura e dell’organizzazione societaria, l’altra delle modalità di finanziamento e l’ultima dei rapporti tra fondatori e investitori ma anche con il personale.

Sul fronte dell’organizzazione societaria è sempre delicata la questione del numero di soci, con il rischio di frammentare la compagine. Situazione che potrebbe complicarsi con l’ingresso di un numero elevato di investitori. Ecco perché si suggerisce di utilizzare un veicolo ad hoc per concentrare gli investimenti.

Sempre per mantenere la società snella, si consiglia di prestare attenzione a non bloccarne la capacità decisionale quando si negozia con l’investitore su meccanismi di controllo dell’assemblea dei soci o del Cda come i diritti di veto o la richiesta di quorum qualificati dove il voto dell’investitore è fondamentale.

Così se tutti gli investitori vogliono un rappresentante in Cda conviene trovare soluzioni ragionevoli, come la nomina di un amministratore congiunto per più investor. E i fondatori dovrebbero preservare la loro quota di partecipazione per mantenenere il controllo della gestione.

Si può arrivare a creare categorie di quote con diritti diversi (sia amministrativi, sia patrimoniali) per gli investitori. Sul fronte finanziario, delicato per una start-up che tende a bruciare cassa nelle prime fasi della sua vita, il decalogo suggerisce una serie di modalità alternative di raccolta di capitali, a partire dall’equity crowdfunding, oppure strumenti finanziari partecipativi per cui l’investimento può essere convertito in un secondo momento in una partecipazione nel capitale sociale, o finanziamenti a debito come il venture debt, in Italia ancora poco utilizzato.

Il clima in azienda
Il successo di una start up passa anche dal coinvolgimento dei dipendenti: da qui quindi piani di incentivazione (anche assegnando partecipazioni azionarie) per garantire la permanenza di elementi chiave, e politiche di sviluppo sostenibile. «In un’impresa che nasce la parola chiave è la fiducia – conclude l’avvocato Verna – Il successo di una start up si basa sullo spirito di gruppo e sulla incentivazione dei talenti. Investitori e fondatori devono essere focalizzati sull’impresa e condividere un progetto comune di crescita».

Il decalogo ( a cura di Antonia Verna, partner e Chiara Sannasardo, associate, dello studio legale Portolano Cavallo)

Dieci consigli pratici per avviare una nuova impresa in modo innovativo e sostenibile

Oggigiorno il successo di un'impresa non può prescindere dai fattori di innovazione e sostenibilità. Tali concetti sono solitamente riferiti al modello di business o al servizio o prodotto offerto dall'impresa. In realtà l’innovazione e la sostenibilità di un'impresa si possono valutare anche in funzione delle modalità operative e organizzative. Una struttura societaria flessibile e lungimirante può essere determinante per la crescita e lo sviluppo di una startup. Di seguito dieci consigli pratici per gestire e sviluppare una nuova impresa in modo innovativo e sostenibile anche da un punto di vista organizzativo e gestionale, con una visione prospettica ambiziosa e chiara. Un decalogo pratico sia per imprenditori che vogliano costruire un’impresa solida, sia per investitori che vogliano realizzare investimenti sostenibili in una accezione diversa dal concetto di sostenibilità finanziaria.

1 .Realizzare investimenti tramite un veicolo ad hoc o un mandato fiduciario, soprattutto nelle fasi seed-early stage

Una compagine societaria ridotta e poco frammentata può agevolare la gestione e della startup e il reperimento di nuovi investimenti. Nel caso di un numero elevato di investitori, gli stessi potrebbero fare il loro ingresso in società attraverso un veicolo societario costituito ad hoc oppure conferendo un mandato collettivo a una società fiduciaria. La fiduciaria o il veicolo risulterebbero gli unici intestatari della partecipazione sociale nella startup e i rapporti tra i singoli investitori sarebbero regolati nell’ambito, rispettivamente, del mandato fiduciario e del veicolo. La startup non sarebbe coinvolta nelle dinamiche dei rapporti tra investitori, e lo statuto e gli accordi conclusi tra i fondatori e gli investitori risulterebbero più semplici e snelli. Questa soluzione potrebbe essere più difficile da perseguire quando gli investitori non siano tutti family and friends e non si conoscano. Tuttavia, anche in tale circostanza, potrebbe essere la soluzione più opportuna.

2.Attenzione a non bloccare le decisioni operative con troppe materie riservate e diritti di veto

È piuttosto ricorrente che un investitore voglia disporre di meccanismi di controllo sulla gestione dell’impresa in cui investe. Solitamente, l’investitore chiede che gli sia riconosciuto il potere di condizionare l’assunzione di decisioni su alcune materie di competenza dell’assemblea o del consiglio di amministrazione mediante diritti di veto o quorum qualificati che richiedono il voto dell’investitore per essere raggiunti. Queste richieste potrebbero contrastare con l’esigenza dei fondatori di dotare la startup di una struttura operativa snella. Il consiglio è di assumere un atteggiamento aperto e negoziare con cura sia l’elenco delle materie cosiddette “riservate” sia i quorum deliberativi speciali o i diritti di veto su tali materie, cercando di giungere a una soluzione che non ingessi la gestione della società target, dia fiducia all’iniziativa imprenditoriale dei fondatori e tragga beneficio dalle competenze ed esperienze degli investitori.

3.Gestire con ragionevolezza i diritti degli investitori di nominare membri degli organi di amministrazione e controllo

Un’altra richiesta frequente da parte degli investitori è vedersi riconosciuto il diritto di nominare un membro del consiglio di amministrazione oppure un membro dell’organo di controllo sindacale o di revisione. Come per i quorum qualificati e le materie riservate, anche questi diritti consentono agli investitori di esercitare un certo controllo sull’attività della società; d’altro canto, è pur vero che un consiglio di amministrazione numeroso potrebbe irrigidire e appesantire la gestione di una società ancora di piccole dimensioni, la quale – se S.r.l. – potrebbe anche non aver superato i limiti dimensionali previsti dalla legge per la nomina obbligatoria di un organo di controllo. Quindi, cosa fare di fronte a queste richieste? Quanto al consiglio di amministrazione, si potrebbe proporre agli investitori di trovare un accordo per nominare congiuntamente uno o due amministratori che li rappresentino (evitando per quanto possibile di nominare un amministratore per ciascun investitore). In alternativa, si potrebbe valutare la nomina di un uditore (questo anche da parte di ciascun investitore) che avrà diritto di partecipare alle riunioni del consiglio di amministrazione, senza diritto di voto ma con il diritto di ricevere le medesime informazioni degli amministratori. Quanto all’organo di controllo, si potrebbe optare – in caso di S.r.l. – per la nomina di un organo di controllo unipersonale, al quale potrebbero essere demandate anche le funzioni di revisione legale.

4.Preservare la quota di partecipazione dei soci fondatori

I fondatori dovrebbero prestare particolare attenzione e adottare adeguate soluzioni per non perdere la maggioranza del capitale sociale già dopo i primi round di investimento e mantenere un buon livello di controllo sulla gestione della società, evitando che quest’ultima finisca per essere del tutto assoggettata alla volontà degli investitori. Nella prassi è piuttosto usuale riconoscere ai fondatori il diritto di nominare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, e conferire ad almeno uno di essi deleghe operative per il compimento di attività day-to-day. Con riferimento ad alcune operazioni eccedenti l’ordinaria amministrazione (es. contratti di finanziamento, acquisto di immobili, richiesta di garanzie), i fondatori sono soliti negoziare con gli investitori limiti monetari al di sotto dei quali possono compiere tali operazioni con maggiore autonomia senza dover ottenere il preventivo assenso degli investitori. Per quanto riguarda le partecipazioni societarie, i fondatori dovrebbero evitare di cedere agli investitori una quota consistente (es. più del 50%) del capitale prima di un round A: l’eccessiva diluizione, infatti, potrebbe minare la credibilità dei fondatori nelle successive fasi di raccolta e disincentivare l’ingresso di nuovi investitori, soprattutto internazionali.

5.Start-up e PMI in forma di S.r.l.: è meglio creare categorie di quote o attribuire diritti particolari?

Le S.r.l. qualificate come start-up innovative o PMI (anche non innovative) posso creare categorie di quote fornite di diritti diversi, sia amministrativi che patrimoniali. Nelle S.r.l. tali diritti particolari possono essere attribuiti dallo statuto a uno o più soci nominativamente individuati. In sede di ingresso di nuovi investitori, la scelta tra l’uno o l’altro strumento può dipendere da diverse considerazioni. Nel caso in cui gli investitori siano più di uno e abbiano tra loro interessi “omogenei”, potrebbe essere conveniente creare categorie di quote da assegnare agli investitori: in questo modo, infatti, si eviterebbe di indicare nominativamente gli investitori in statuto (e di modificarlo ogniqualvolta ci siano variazioni rispetto a tali investitori) e gli stessi diritti potrebbero essere attribuiti a nuovi investitori semplicemente emettendo nuove quote della stessa categoria. Qualora l’investitore sia uno solo oppure i vari investitori abbiano interessi tra loro non omogenei, sarebbe più opportuno attribuire loro diritti particolari e non creare categorie di quote che, di fatto, verrebbero assegnate a un solo socio. Qualora si volesse riconoscere ad alcuni soci un peso “inferiore” nell’assunzione di certe decisioni, quei soci potrebbero ricevere una categoria di quote creata ad hoc che non attribuisca il diritto di voto o lo preveda in misura non proporzionale alla partecipazione detenuta oppure limitato a particolari argomenti; i diritti particolari non consentirebbero di raggiungere lo stesso risultato.

6.I piani di incentivazione e il work for equity per favorire una crescita solida e sostenibile

Il successo di una startup dipende anche dal coinvolgimento di dipendenti e collaboratori. L’attribuzione a dipendenti e collaboratori di partecipazioni al capitale della società tramite piani di incentivazione e work for equity può essere un valido strumento per ottenere molteplici vantaggi. In primo luogo, si incentiva la permanenza in società di persone che rivestono un ruolo chiave, di gran lunga importante nei settori in cui il “capitale umano” risulta decisivo per il successo dell’iniziativa (“effetto fidelizzazione”). In secondo luogo, la società diventa più competitiva sul mercato del lavoro, specie nei settori in cui la concorrenza è più alta. Infine, sostituire (in tutto o in parte) i corrispettivi in somme di denaro con una partecipazione al capitale consente alla società di sopperire ad eventuali carenze di liquidità e ai destinatari di beneficiare anche dei vantaggi contributivi e fiscali previsti dalla normativa vigente.

7.Strumenti alternativi di investimento in equity: gli strumenti finanziari partecipativi convertibili (“SFPC”) e l’equity crowdfunding

Le startup per loro natura “bruciano cassa” e hanno bisogno di continue iniezioni di capitale per consolidarsi e iniziare a “scalare”. La scelta dei metodi di raccolta dei capitali deve essere fatta con cura, soprattutto nelle fasi iniziali di crescita. Si distingue tra finanziamenti in equity (che consentono di ottenere capitali cedendo quote della società) e finanziamenti a debito (che consistono in prestiti di denaro da restituire). Con riferimento alle forme di finanziamento in equity, negli ultimi anni si sono affermati due strumenti alternativi e “innovativi”: gli SFPC e l’equity crowdfunding.Il titolare di uno SFPC non diventa socio, ma acquisisce il diritto di convertire tale strumento in una partecipazione nel capitale della società. Tale diritto potrà essere esercitato solo quando interverrà un evento “di liquidità” (es. una quotazione, un successivo investimento, una exit) oppure entro un determinato termine. Lo SFPC così strutturato è uno strumento di equity. Il denaro versato per l’assegnazione di SFPC è allocato in una apposita riserva del patrimonio netto della società. La conversione è eseguita sulla base della valutazione della società al momento della conversione, scontata di una percentuale per gratificare l’investitore che ha sottoscritto SFPC in una fase di maggiore rischio d’impresa. L’equity crowdfunding è uno strumento di raccolta di capitali collettivo, al quale possono far ricorso tutte le startup e le PMI anche non innovative. È uno strumento utilizzato sempre più di frequente, in Italia e all’estero, che permette a più persone di sostenere progetti o iniziative anche con piccole somme, acquistando una quota di partecipazione nel capitale della società che li promuove. L’equity crowdfunding può essere considerato uno strumento di investimento sostenibile per diversi motivi. Innanzitutto, per le sue caratteristiche, consente di investire in modo trasparente e diretto, conoscendo il team dietro una iniziativa e scegliendo liberamente i progetti su cui stanziare i propri fondi, valutandone le finalità. Inoltre, è sempre più frequente che le persone decidano di promuovere progetti etici e sostenibili attraverso piattaforme di crowdfunding, incrementandone la visibilità e le probabilità di ottenere sostegno (anche economico) al progetto.

8.Strumenti alternativi di finanziamento a debito: il venture debt

Le banche sono notoriamente istituzioni finanziare poco propense al rischio, che difficilmente elargiscono finanziamenti a startup agli inizi della loro attività quando tali società non hanno ancora raggiunto una solidità economico-finanziaria. In alternativa ai finanziamenti bancari, si assiste talvolta all’uso di finanziamenti fatti da privati, che al verificarsi di certe condizioni ed eventi possono essere convertiti in equity (i cd. finanziamenti convertibili). L’utilizzo eccessivo o inappropriato di tali finanziamenti potrebbe contrastare con la normativa regolamentare in tema di raccolta del risparmio tra il pubblico. Il finanziamento tra privati potrebbe portare anche ad altre problematiche, ad esempio legate alle lungaggini di una negoziazione dei termini e condizioni del contratto di finanziamento con ciascun investitore.Per ovviare a queste e altre difficoltà (si pensi all’iter di emissione di obbligazioni e titoli di debito per una società di capitali), ci si chiede se non sia possibile favorire la diffusione anche in Italia del cosiddetto venture debt.Diversamente dai finanziamenti convenzionali, il venture debt è un finanziamento erogato a favore di startup, da intermediatori finanziari e non, tipicamente in via alternativa o complementare a un investimento in equity nella medesima società. E’ fruttifero, a breve-medio termine con forme di garanzia sul capitale sociale della società piuttosto che sui suoi asset (che potrebbero mancare in fase di start-up). A differenza dell’investimento in equity, il venture debt previene l’eccessiva diluizione delle partecipazioni dei fondatori. Tale forma di finanziamento è erogata più spesso nei confronti di società che hanno già completato con successo i primi round di investimenti VC in equity (una sorta di “track-record” positivo), ma non hanno ancora sufficienti flussi di cassa per ottenere prestiti convenzionali (ad es. dalle banche). Lo strumento del debt venture consente a queste società di colmare simili gap e ricevere liquidità per acquisire i beni strumentali necessari per accelerare la crescita e il raggiungimento delle milestones operative. Fra l’altro, l’ammontare erogato con il venture debt è solitamente calcolato sull’ammontare degli investimenti in equity ottenuti dalla società in precedenza (in genere il 30% del totale ottenuto nell’ultimo round di investimento in equity). All’estero il fenomeno del debt venture sta prendendo sempre più piede, mentre in Italia è ancora poco utilizzato.

9.Adottare politiche e strategie di sviluppo sostenibile all’interno dell’impresa: i fattori ESG e le società benefit

Oggi è sempre più importante per un’impresa (di qualsiasi dimensione) condurre il proprio business in modo sostenibile, tenuto conto non solo degli aspetti economici ma anche delle politiche aziendali in ambito sociale e ambientale. Condurre il business in modo sostenibile significa gestire in modo efficiente e strategico le risorse a disposizione (finanziarie, naturali, umane), significa prestare attenzione non solo a “cosa l’azienda fa” ma anche al “modo in cui lo fa”. In questo modo l’impresa acquisisce una migliore capacità di innovazione, analisi e gestione dei rischi e, nel caso di una startup, diventa più “attraente” agli occhi degli investitori. La normativa europea ha imposto, tra l’altro, agli operatori del settore finanziario, fra cui i gestori di fondi di investimento alternativi e di venture capital qualificati, obiettivi di investimento sostenibile, per attuare i quali occorre – tra le altre cose – che gli investitori verifichino e valutino la sostenibilità del proprio target di investimento e il livello di compliance con i fattori ESG.Sulla scia della sostenibilità e dell’impatto sociale, sempre più spesso le nuove imprese innovative puntano a ottenere anche la qualifica di società benefit (“SB”). Le SB non sono un nuovo tipo societario, sono società che perseguono, insieme ad obiettivi di profitto, anche obiettivi non economici. Questa mission può senz’altro aiutare la startup ad attrarre capitali di investimento ad impatto sociale e incrementare il proprio “capitale intangibile”, nonché a consolidare la propria reputazione nel mercato di aziende riconosciute per il beneficio che creano per la società e l’ambiente.

10.La collaborazione tra fondatori e investitori verso una visione comune d’impresa

I fondatori e gli investitori dovrebbero condividere la medesima visone di sviluppo e gestione dell’impresa, creando un ambiente sano e collaborativo, nel rispetto dei ruoli e senza inutili giochi di potere o prese di posizione. Da un lato, occorre che gli investitori diano fiducia ai fondatori e alla loro iniziativa imprenditoriale sulla quale gli investitori hanno deciso di puntare; dall’altro lato, è opportuno che i fondatori si lascino consigliare e, in una certa misura, guidare dall’esperienza degli investitori, i quali potrebbero mettere a supporto dell’iniziativa la loro conoscenza ma anche la loro struttura organizzativa. L’adozione di sane e fluide strategie operative durante la vita della startup e dell’investimento può contribuire ad una crescita del valore della società e della partecipazione detenuta da fondatori e investitori, con un impatto positivo sulla futura exit. Un approccio avveduto e lungimirante nella gestione della società non può che rappresentare un fattore di crescita e di rendimento a beneficio di tutte le parti coinvolte.

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