Controlli e liti

Stop al contante, il superbonus per i pagamenti elettronici arriva alla Consulta

La Provincia di Trento contesta la destinazione delle maggiori risorse da emersione di base imponibile

La legge di Bilancio 2020 approvata pochi mesi fa dal Parlamento sembra distante anni luce. L’emergenza coronavirus ha stravolto le priorità anche a livello fiscale. Eppure uno dei pilastri del piano «Italia cashless» – su cui poggiava l’idea di contrastare l’evasione con «più tracciabilità e meno contanti» – rischia di essere colpito da una pronuncia di incostituzionalità. Sul banco degli “imputati” davanti alla Consulta è finito il superbonus con cui anche nel nostro Paese si punta a introdurre il meccanismo del cashback, ossia il rimborso di una parte degli acquisti di beni e servizi effettuati dai consumatori dal 2021 con moneta elettronica.

La questione è stata promossa dalla Provincia di Trento con il ricorso 36/2020. Per la sentenza ci vorrà tempo. Ma il ricorso getta un’ipoteca su un meccanismo ancora tutto da attuare. Il 30 aprile, infatti, è scaduto il termine (ordinatorio) per l’adozione del decreto con cui il ministero dell’Economia, «sentito»il Garante della privacy, dovrà a stabilire quali spese danno diritto al rimborso, in quale percentuale e con quali modalità.

La questione delle risorse
Per finanziare il rimborso ai consumatori, Governo e Parlamento hanno stanziato 3 miliardi di euro per il 2021 e altrettanti per il 2022. Una “generosità” chiaramente orientata a incentivare i cittadini a usare carte, bancomat e App per gli acquisti, così da far emergere redditi non dichiarati dai venditori. I dettagli sono ancora tutti da scrivere, come si diceva, anche perché la legge di Bilancio si riferisce ad acquisti «abitualmente» pagati con strumenti di pagamento elettronici. Ma non è questo il punto contestato dalla Provincia di Trento, che invece ha attaccato la possibilità di estendere la dotazione per il cashback n caso di emersione di base imponibile.

La destinazione delle eventuali maggiori entrate riconducibili al cashback (prevista dall’articolo 1, comma 290, della legge 160/2019) è ritenuta dalla Provincia di Trento «contrastante con le disposizioni statutarie che determinano la devoluzione alle province autonome di determinate quote di gettito dei tributi erariali e l'attribuzione di tributi propri, in particolare, ai sensi degli articoli 69, 70, 72, 73, 75, 75-bis dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione (decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268), salvo non ritenere che debba trovare applicazione in questo caso specifico la generale e generica clausola di salvaguardia delle prerogative della Provincia applicazione che, però, non sembra affatto potersi dare per scontata».

C’è da dire, peraltro, che l’individuazione del maggior gettito potrebbe essere molto complicata, e certo discutibile, in un anno come il 2021, che arriverà dopo il 2020 segnato dal coronavirus e potrebbe vedere un rimbalzo del Pil, almeno stando alle previsioni attuali.

I precedenti
Il caso è specifico è nuovo, ma la questione no. Tanto è vero che il ricorso ricorda come in «riferimento alla questione della destinazione delle maggiori entrate derivanti dalla eventuale emersione di base imponibile, la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi in più occasioni, enunciando il principio secondo cui, in presenza di norme degli Statuti di autonomia speciale che stabiliscono la devoluzione di determinate quote del gettito dei tributi erariali a favore delle rispettive autonomie speciali, le norme statali che disciplinano la destinazione del maggiore gettito» di tali tributi sono illegittime.

Inoltre viene sottolineato che «anche la norma in esame riguarda maggiori entrate che non derivano da “maggiorazioni di aliquote” di tributi esistenti, né da “istituzione di nuovi tributi” e, quindi, la fattispecie non ricade nell'ambito della disciplina delle riserve all'erario e delle relative condizioni, ma semplicemente corrisponde al potenziale recupero di tributi evasi (preesistenti)».

Le eventuali conseguenze
Se il meccanismo dovesse essere dichiarato incostituzionale sarebbe un problema non da poco. È vero che l’eventuale illegittimità colpirebbe solo il possibile maggior gettito da emersione e non i 3 miliardi già stanziati sia per il 2021 eper il 2022. Ma è evidente che la finalità della norma era quella di fare perno sulla tracciabilità proprio per spingere i destinatari di quei pagamenti poi a dichiarare e a versare di più. Insomma, servirebbe quanto meno un “tagliando” meccanismo.

Nonostante lo scenario economico sia radicalmente mutato rispetto a fine 2019 con il lockdown che ha costretto a una chiusura forzata per motivi di emergenza sanitaria tante attività produttive, la tracciabilità resta sempre una priorità del Governo. A maggior ragione in un Paese in cui solo il 12,9% delle transazioni avviene senza contanti (fonte: rapporto 2020 della community Cashless society (The European House-Ambrosetti).

Lo dimostra anche l’ultimo Def (Documento di economia e finanza) in cui viene ribadito che le misure del piano «Italia cashless» si collocano «nel quadro di un'importante riforma strutturale che non è limitata solo al contrasto all'evasione ma che persegue obiettivi strategici di riduzione del gap nell'utilizzo dei pagamenti digitali rispetto al contante e di modernizzazione del sistema Paese».

Un piano in cui, oltre al superbonus, c’è la doppia riduzione del tetto al contante: il primo step è in calendario già il 1° luglio quando scenderà la soglia a partire dalla quale è vietato usare le banconote scenderà da 3mila a 2mila euro; il secondo, invece, scatterà dal 2022 e abbasserà la soglia a mille euro (già rimasta in vigore dal 2012 al 2015). Non pare in agenda, invece, l’introduzione delle sanzioni per gli esercenti e i professionisti che non rispettano l’obbligo di dotarsi del Pos o ne condizionano l’utilizzo a una soglia minima di spesa da parte del cliente.

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