Stop alle sanzioni per i registri Iva presentati in ritardo
Fisco bocciato tre volte, in primo grado, in secondo e in Cassazione. Per i giudici di legittimità (ordinanza 14933 dell’8 giugno) non è punibile il contribuente che presenta in ritardo le scritture contabili, a condizione che la violazione «sia priva di incidenza sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo e sia inidonea ad arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». Il “guaio” è che, dopo quasi 13 anni di contenzioso, l’Erario oltre a non incassare nulla, deve anche pagare le spese di giudizio per circa 5mila euro.
La vicenda
L’agenzia delle Entrate emette nei confronti di una società un atto di contestazione, relativo all’anno 2005, con il quale irroga la sanzione di 34.054 euro per omessa registrazione di operazioni imponibili, nonché la sanzione di 1.032,91 euro per omessa tenuta della contabilità, in quanto al momento dell’accesso della Guardia di finanza non erano stati esibiti in forma cartacea i registri Iva.
Contro l’atto dell’ufficio, la società presenta ricorso che viene accolto dalla Ctp Firenze, per la semplice ragione che, nonostante il comportamento omissivo della società, le violazioni contestate non potevano essere sanzionate: non era stato impedito il controllo da parte dei verificatori e non si era verificato alcun danno per l’Erario.
L’ufficio non si ferma e propone l’appello che viene rigettato dalla Ctr Toscana, che conferma la sentenza dei giudici di primo grado, «considerato che l’inosservanza della disciplina della tenuta dei registri contabili con sistemi meccanografici e la mancata contestualità della stampa rispetto alla richiesta dei verificatori costituiva una violazione meramente formale ove, come nel caso di specie, era risultato che le obbligazioni tributarie erano state correttamente assolte e che era avvenuta, sebbene tardivamente, l’esibizione delle scritture contabili prescritte».
Le conclusioni della Corte
L’ufficio ricorre in Cassazione, ma il ricorso viene bocciato anche in questa sede. Per i giudici di legittimità, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 5-bis, Dlgs 472/1997, in base al quale non sono punibili le violazioni che non recano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.
Per i giudici della Suprema corte, anche se, in astratto, «l’omessa istituzione del registro delle fatture e l’omessa registrazione delle fatture costituisca condotta idonea a frapporre un ostacolo all’attività di controllo da parte della amministrazione finanziaria, nella fattispecie concreta il giudice di appello ha escluso che il suddetto pregiudizio si sia verificato, come del resto desumibile dalla circostanza (...) che gli accertatori hanno potuto effettuare un puntuale riscontro pervenendo alla determinazione analitica del volume di affari, del valore della produzione e del reddito d’impresa».
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso dell’ufficio, condannandolo inoltre a versare alla società le spese di lite del giudizio, che si liquidano in complessive 4.100 euro per compensi, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.
Le possibilità di autotutela
La vicenda dimostra che spesso gli uffici si “dimenticano” delle norme sull’autotutela, che consentono di annullare gli atti sbagliati, evitando così di arrivare alla Cassazione.
Se si sbaglia bersaglio, e si sceglie di annullare subito l’atto sbagliato, si riducono tempi e costi per il sistema, a tutto vantaggio del contribuente, dell’equità sostanziale e dell’amministrazione della giustizia tributaria.