Controlli e liti

Strada sempre più stretta per impugnare l’accertamento con adesione

La Cassazione ricorda i vincoli rigidi per i ricorsi contro gli accordi concordati

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di Roberto Bianchi


L’accertamento con adesione è atto intangibile. In ambito tributario, la definizione di un accertamento con adesione a fronte di una istanza di parte, ai sensi del Dlgs
218/1997, determina l’intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra i contraenti. Risulta pertanto normativamente esclusa, per il contribuente, la possibilità di impugnare un simile accordo e, di conseguenza, l’ atto impositivo
oggetto della transazione il quale conserva efficacia (a tutela dell’Amministrazione) sino a quando non risulta interamente eseguita l’obbligazione discendente dal “concordato”.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4409/2020.

L’istituto dell’accertamento con adesione

L’ accertamento con adesione è un mezzo che consente al contribuente di concordare la definizione delle imposte dovute ed evitare, in tale maniera, l’insorgere di una lite giudiziaria, configurandosi come uno strumento il cui utilizzo tende a definire il presupposto d’imposta oggetto di verifica e valutazione da parte dell’Ufficio.
Per espressa previsione normativa, l’accertamento concordato con l’agenzia delle Entrate non è suscettibile di impugnazione e non è integrabile, né modificabile, a meno che ricorrano condizioni precise e tassative, cui è subordinata l’ulteriore ed eccezionale attività accertatrice per lo stesso periodo contributivo, ovvero, per lo stesso presupposto d’imposta. La sottoscrizione dell’atto di adesione può validamente intervenire entro il termine ultimo di impugnazione, per la cui determinazione deve correttamente tenersi conto dell’intero
periodo di differimento sancito dal Dlgs 218/1997 e dell’eventuale periodo di sospensione feriale previsto dalla legge 742/1969 (C.M. 235/1997 e circ. 65/E/2001).
Una volta definito l’accertamento con adesione mediante la fissazione anche del quantum debeatur, non possono essere impugnati dalle parti né l’atto impositivo iniziale né l’accordo
raggiunto con l’amministrazione finanziaria (Cassazione ordinanza 20577/2019) e, pertanto, al contribuente non resta che perfezionare l’intesa versando quanto emerge dallo stesso, dato che è la norma medesima che esclude la possibilità di impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, che conserva la sua efficacia (a garanzia dell’Amministrazione Finanziaria) sino a quando non risulta interamente eseguita l’obbligazione scaturente dall’accordo.

I precedenti


Attraverso la sentenza n. 15170/2006, i giudici di piazza Cavour hanno ammesso la possibilità per il contribuente di impugnare l’atto impositivo, riconoscendogli il vantaggio della sospensione dei termini, ma tutto ciò esclusivamente nel caso di formalizzazione del mancato raggiungimento dell’accordo con l’Ufficio.
In merito alle modalità attraverso le quali l’adesione perfezionata può essere privata dei suoi effetti, la disposizione cardine è l’articolo 2 del Dlgs 218/1997 che cristallizza le conseguenza
dell’accertamento con adesione perfezionato, limitando strettamente le ipotesi nelle quali l’atto può essere privato di efficacia. Infatti, il comma 3 della disposizione sancisce la non impugnabilità da parte del contribuente e la non integrabilità da parte dell’Amministrazione e le eccezioni a questa regola, dirette a consentire un’integrazione del concordato, sono rigidamente disciplinate dal comma 4: tra queste, risalta la possibilità di
integrare l’accertamento con adesione “se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento
del reddito definito e comunque non inferiore a centocinquanta milioni di lire”.
Al di fuori di questi ambiti, si può ancora ragionare di un eventuale esercizio del potere di autotutela, ossia di un riesame in annullamento, che sconta tuttavia i limiti di un riesame su atto definitivo.

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