Imposte

Sugli interessi passivi la giravolta dell'Agenzia

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di Andrea Di Bartolomeo e Marco Piazza

Il tardivo pagamento dell'Imu comporta l'indeducibilità dal reddito d'impresa delle sanzioni. L'agenzia delle Entrate, durante Telefisco 2014, ha fatto dietrofront rispetto alla prassi precedente e la risposta 18 ha classificato come indeducibili anche gli interessi passivi per ritardato pagamento.
Ricordiamo che l'Imu è normalmente indeducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell'Irap, con l'eccezione di quella relativa agli immobili strumentali che è deducibile ai soli fini del reddito d'impresa e di lavoro autonomo, nella misura del 20 per cento (ferma restando l'indeducibilità ai fini Irap).
Al di la del caso specifico dell'Imu, la lapidaria affermazione rischio di aumentare le incertezze sul tema, più generale, della deducibilità degli interessi per tardivo versamento delle imposte.
L'unica norma, a quanto risulta, che sancisce espressamente l'indeducibilità di oneri assimilabili agli interessi per tardivo versamento d'imposte è l'articolo 66, comma 11 del Dl 331 del 1993 con riferimento alla maggiorazione dell'1% da applicare ai versamenti dei contribuenti trimestrali (articolo 33, comma 3 del Dpr 633/72 ora sostituito dall'articolo 7 del Dpr 542 del 1999 e successive modificazioni).
Più in generale l'Amministrazione finanziaria, nella circolare 30 aprile 1977, n. 7/1496, ha sostenuto che gli interessi maggiorativi dei tributi (da iscrizione a ruolo, rateazione eccetera) sono deducibili nella stessa misura in cui lo sono i relativi tributi. Tuttavia, il principio è stato smentito dalla Cassazione 2440 del 1984 in cui si sancisce che «se è vero che per il diritto comune la disciplina giuridica del debito accessorio è quella del debito principale, è altrettanto vero che ciò vale per la regolamentazione privatistica dei rapporti fra le parti, nel senso che ogni disposizione regolamentante l'obbligazione principale si estende anche in quella accessoria (…)» e che «lo stesso principio non può invece applicarsi nel campo pubblicistico, specie in quello tributario, al quale non possono estendersi, in tutto e per tutto, i principi del diritto comune, trattandosi di un diritto speciale che regolamenta rapporti del tutto diversi».
In questo senso deve interpretarsi la relazione governativa all'articolo 63 del Testo unico del 1986 nella parte in cui precisa che «nel comma 1 si è ritenuto superfluo indicare specificamente che rientrano nell'accezione di interessi passivi anche le somme corrisposte a norma del decreto 602 (Dpr 602/73), in quanto appare indubbia la loro natura di interessi passivi, ancorché accessori dell'imposta». In altri termini, il legislatore già a suo tempo aveva precisato (né sotto tale profilo si rinvengono modifiche alla luce delle successive rinumerazioni e riformulazioni dell'articolo 63) che non assume alcuna rilevanza ai fini della deducibilità il fatto che gli interessi siano o meno accessori ai tributi da cui derivano, essendo comunque "inequivocabile" la loro natura di interessi "inerenti".
Questa è anche l'interpretazione di Assonime nella circolare 13 del 2001 alla circolare ministeriale 9 del 1991 con riferimento agli interessi per il pagamento rateale dell'imposta sostitutiva sulle rivalutazioni dei beni d'impresa: («tali interessi devono ritenersi deducibili nei modi ordinari»). Un'espressa conferma del fatto che l'Agenzia aveva abbandonato il convincimento che in materia tributaria fosse applicabile il principio "accessorium sequitur principale" pareva giunta con la risoluzione 178/E del 2001 in cui si chiariva che «considerato che il sistema normativo del Tuir riconosce l'autonomia della funzione degli interessi passivi, la loro deducibilità deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dall'articolo 63 al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili».
La Cassazione ha poi - si credeva definitivamente - sancito, proprio con riferimento ai vari tipi di interessi sui debiti tributari, che la disciplina generale dell'articolo 63 del Testo unico (ora articolo 96) «non pone alcun limite alla deducibilità degli interessi passivi in funzione (...) dell'onere di cui sono accessori» anche perché sarebbe «del tutto incoerente ed ingiustificato - anche sul piano costituzionale - che gli interessi attivi sui crediti di imposta che sono componenti positivi di reddito come tali tassabili quando vengono percepiti dall'imprenditore (fra le altre, Cassazione 18173 del 2002) non potessero assurgere a componenti negativi di reddito come tali deducibili quando dal medesimo imprenditore sono pagati per identica causa giuridica».
Per inciso, osserviamo che la deducibilità ai fini Ires degli interessi passivi in esame non pare soggiacere neppure al limite del 30% del Rol di cui all'articolo 96 del Tuir, alla luce della definizione di "interessi passivi" fornita nella circolare 19/E del 2009, e degli ulteriori chiarimenti forniti in materia dalla circolare Assonime 46/2009.
In questo contesto, che pareva consolidato, si inserisce però la risoluzione 228/E del 2007 (che si distingue per il grado di approfondimento dei vari aspetti connessi con il tardivo versamento di oneri doganali) la quale - occupandosi, tra l'altro, degli interessi dovuti, torna ad affermare che essendo accessori al tributo, «ne seguono le vicende tributarie per ciò che concerne la deducibilità».
La risposta a Telefisco aumenta la confusione perché, sancendo l'indeducibilità degli interessi per tardivo versamento dell'Imu (che pure è un'imposta deducibile, anche se parzialmente e in casi specifici), supera in peggio la circolare del 1977.

La risposta dell'agenzia delle Entrate data a Telefisco

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