Controlli e liti

Sui termini d’accertamento si torna indietro di 20 anni (nonostante il web)

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di Giorgio Gavelli

Ha prodotto molta insoddisfazione tra i professionisti l'intervento della legge di Stabilità sui termini di accertamento (articolo 1, commi da 130 a 132, legge 208/2011). Ma oltre a criticare la scelta del legislatore è utile riflettere sulle motivazioni che l’hanno ispirata, e sulle ragioni che – quasi vent’anni fa - ne avevano ispirata un’altra di segno opposto.

Sicuramente, l’eliminazione del raddoppio dei termini in caso di denuncia di una violazione penal-tributaria pone rimedio a una prassi che aveva stravolto la natura della disposizione ed anche la (tanto attesa) modifica da parte del Dlgs 128/2015 aveva lasciato sul tappeto diverse questioni irrisolte, tanto è vero che la giurisprudenza di merito ha ricominciato a “disobbedire” (Ctp Torino n. 2019/01/2015). Spesso, infatti, non era la rilevazione di un possibile reato a rendere opportuno un ampliamento dei termini, ma era l’intervenuta decadenza ordinaria dei termini che determinava la ricerca di un potenziale reato (vero o presunto) per “guadagnare” il raddoppio, con un capovolgimento delle finalità della norma difficilmente accettabile.

Ma va detto che questo, a ben vedere, non è il cuore del problema. La novità della legge di Stabilità che lascia più perplessi, in quest’ambito, è l’allungamento (generale) dei termini ordinari di accertamento, di un anno per le dichiarazioni presentate, di due anni per quelle omesse, a decorrere dagli atti riferiti al periodo d’imposta 2016. Se sulla distinzione tra le due ipotesi nulla quaestio (chi “si nasconde” integralmente è giusto che resti accertabile in un termine maggiore), è la netta controtendenza rispetto a quanto legiferato (e motivato) in passato che lascia di stucco.

Con il Dlgs 241/1997 furono anticipati tutti i termini di controllo (articolo 36-bis e 36-ter) e di accertamento delle imposte sui redditi (articolo 43 del Dpr 600/73). Con la motivazione - ricavabile dalla Relazione accompagnatoria al decreto - che «le nuove modalità di presentazione delle dichiarazioni consentono l’effettuazione dei controlli con tempi anticipati», in quanto «la trasmissione in via telematica delle dichiarazioni all’amministrazione finanziaria, rendendo immediatamente disponibili i dati contenuti delle stesse, consente l’adozione di nuove e più rapide modalità di controllo». Occorreva dimostrare (come forse più d’uno rammenterà) che ai maggiori, rilevanti sforzi richiesti (in particolare) agli intermediari (in termini di tempo ma anche di costi ed investimenti) corrispondeva un vantaggio per tutti i contribuenti, per effetto della più spedita azione dell’amministrazione. Si passava dalle dichiarazioni “su carta chimica” se non addirittura manuali, a quelle online, che, con pochi interventi, l’amministrazione poteva mettere a disposizione degli uffici quasi in tempo reale, così da iniziare subito le verifiche.
A questo punto occorre chiedersi: quali passi indietro sono stati fatti, in questi anni, per tornare a termini di accertamento compatibili con la tecnologia di vent’anni fa? Le potenzialità accertative sono state effettivamente accresciute dalla telematica? E se questo non è successo la “colpa” è della prassi degli uffici, delle norme mal scritte, dell’arretrato, della litigiosità dei contribuenti o di quali altre ragioni ancora?

L’intervento legislativo della Stabilità dovrebbe offrire lo spunto per riflettere sul perché, in un Paese tecnologicamente avanzato, il fisco abbia bisogno di così tanto tempo per accertare eventuali irregolarità. Viene l’amaro in bocca a pensare che un’impresa potrebbe sentirsi chiedere a dicembre 2022 i documenti del periodo d’imposta 2016 tempestivamente dichiarato, con chiarimenti su operazioni che, spesso, saranno state compiute da chi oramai è andato in pensione o lavora altrove. Fortunatamente, c’è ancora tempo di rimediare.

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