Imposte

Sulle note di variazione Iva serve un deciso cambio di rotta

di Benedetto Santacroce


Tutto da rifare. Questo è l’unico commento possibile al completo azzeramento legislativo e interpretativo della riforma operata dalla legge di stabilità del 2016 in materia di note di variazione Iva connesse al mancato pagamento del cliente/debitore. A maggior ragione dopo le conclusioni dell’ Avvocato generale della Corte di giustizia che chiede tempi rapidi per le note di variazione Iva (si veda Il Quotidiano del Fisco di ieri ). In effetti, la riforma che voleva ripristinare, almeno in parte, il legittimo diritto che ha il cedente/prestatore che non si vede restituire dal cliente l’Iva, di recuperare l’imposta indebitamente versata all’erario, è stata sacrificata solo per ingiustificate ragioni di gettito. Il suo varo era stato accompagnato da lunghe discussioni, da ragioni giuridiche e dalla volontà di sostenere tutti coloro che a causa della crisi finanziaria si trovano in crisi di liquidità non per causa loro, ma per il fatto di essere creditore di clienti morosi.

Proprio ora che tutto è azzerato è il caso di riprendere i motivi di fondo di una riforma giusta e legittima e di riproporre una discussione seria sull’argomento che a fronte di una perdita presunta di qualche centinaia di milioni di euro, sarebbe stata in grado di rimettere a disposizione degli operatori economici, in tempi più ragionevoli delle risorse che non sono dello Stato né del debitore, ma del creditore insoddisfatto.

Cosa si dovrebbe e potrebbe fare? In primo luogo una rivisitazione della norma dell’articolo 26 del Dpr 633/72 sarebbe necessaria per riportarla ai principi della direttiva Iva per ripristinare la neutralità dell’imposta e per liberarla da elementi spuri che poco si addicono a una disposizione che non è diretta a rettificare la detrazione operata, ma a cancellare un versamento indebito dovuto all’inadempimento del cliente. Inoltre, sempre nello spirito della norma unionale bisogna superare l’assioma che la nota di variazione sia possibile emetterla solo quando il recupero del credito è definitivamente impossibile. In effetti, anche la Corte di Giustizia ci insegna che la nota di variazione è legata al mancato pagamento del debitore e non all’impossibilità di incasso da parte del creditore. Quindi lo Stato può introdurre degli adempimenti probatori per dimostrare la mancata percezione, ma non può mai chiedere la prova dell’assoluta recuperabilità del credito. Così facendo la pretesa dello Stato è del tutto sproporzionata rispetto alla tutela che la norma unionale gli offre.
Ulteriore elemento su cui bisogna ragionare è la necessità di armonizzare o meglio di riallineare la normativa Iva a quella che negli ultimi anni è stata introdotta in materia di perdita su crediti nelle imposte dirette. In particolare è necessario ammettere l’emissione di una nota di variazione in tempi brevi e certi per crediti di importi minori.

Un altro sforzo necessario è di dare certezza al creditore specialmente definendo in modo oggettivo il momento in cui posso emettere la nota di variazione. Sotto questo profilo la risposta data dall’agenzia delle Entrate per quanto riguarda il concordato, va esattamente nella direzione opposta, in quanto impone di aspettare non solo l’omologazione del concordato, ma anche l’esecuzione degli obblighi del piano concordatario da parte del debitore.

Infine è necessario sviluppare una specifica opera interpretativa per rendere la norma più coerente con il mercato che nel tempo si è sviluppato con iniziative di marketing che sfruttando la tecnologia offrono al consumatore e alle imprese nuovi orizzonti nella politica degli sconti.

Insomma gli stimoli per rilanciare la discussione ci sono tutti e sicuramente ce ne sono anche altri, ma non dobbiamo assolutamente demordere perché in nome del gettito non si possono calpestare principi e diritti.

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