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Superbonus al 110% fino al 2025 nelle zone del sisma. E il Terzo settore può moltiplicare gli aiuti

Con la circolare 13/E/23 l’Agenzia ha precisato i requisiti per ottenere il potenziamento della spesa agevolabile nei territori colpiti dagli eventi sismici a partire dal 2009

Superbonus del 110% con orizzonte lungo e potenzialmente più ricco per gli enti del Terzo settore. Ma a particolari condizioni. Nei territori colpiti dagli eventi sismici a partire dal 2009, e in cui sia stato dichiarato lo stato di emergenza, la detrazione su interventi di riqualificazione e messa in sicurezza antisismica – per effetto del comma 8-ter, articolo 119, del Dl 34/20 – resta al 110% per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2025. In questi casi, dunque, il superbonus non subisce «alcuna riduzione dell’aliquota», come sottolinea la recente circolare 13/E/2023.

Bonus al 110% possibile su tutti i fabbricati

Il documento delle Entrate (rinviando alla risoluzione 8/E/22 e alla circolare 23/E/22) ribadisce che l’agevolazione fiscale – alternativa ai contributi per la ricostruzione – è fruibile per tutte le spese necessarie al ripristino dei fabbricati danneggiati. E riguarda gli interventi eseguiti dai soggetti elencati al comma 8-bis dello stesso decreto Rilancio e «realizzati su edifici residenziali o a prevalente destinazione residenziale, ivi compresi gli edifici unifamiliari (senza tener conto delle ulteriori condizioni, anche reddituali, richieste dal terzo periodo del comma 8-bis)». In sintesi, dunque, le disposizioni «si applicano agli interventi ammessi al superbonus effettuati su edifici residenziali o unità immobiliari a destinazione abitativa per i quali sia stato accertato il nesso causale tra danno dell’immobile ed evento sismico».

La doppia chance per gli enti del Terzo settore

Sempre nei Comuni dei territori interessati dal sisma, e dove è stato dichiarato lo stato di emergenza, la norma (modificata da Dl Aiuti-quater, articolo 9, comma 1, lettera c) prevede che il superbonus al 110% sino a fine 2025 valga anche per gli interventi «effettuati dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, dalle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri e dalle associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale e nei registri regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, che svolgono attività di prestazione di servizi socio-sanitari e assistenziali negli immobili adibiti a strutture sanitarie».

Si tratta degli enti del Terzo settore. I quali – a certe condizioni – possono beneficiare anche di un potenziamento della spesa agevolata, in virtù del comma 10-bis, articolo 119, del decreto Rilancio (di cui la circolare 13/E/23 dà “interpretazione autentica”). In particolare – afferma il comma 10-bis – il limite di spesa ammesso al 110%, previsto per le singole unità immobiliari, viene moltiplicato per il rapporto tra la superficie complessiva dell’immobile oggetto degli interventi agevolabili e la superficie media di una unità abitativa immobiliare (ricavabile dal Rapporto Omi delle Entrate).

Per ottenere questo potenziamento occorre però rispettare determinati requisiti:

● le spese devono essere sostenute da Onlus, Odv o Aps che si occupino di servizi socio-sanitari, i cui membri del consiglio di amministrazione non percepiscano alcun compenso o indennità di carica;

● gli edifici di categoria catastale B/1, B/2 e D/4, oggetto degli interventi agevolabili, devono essere posseduti a titolo di proprietà, nuda proprietà, usufrutto o comodato d’uso gratuito.

Non solo. Come stabilito dal Dl 11/2023 (articolo 2, comma 3-bis) «tutti i requisiti per rientrare nell’ambito di applicazione del citato comma 10-bis – ribadisce l’Agenzia – devono sussistere sin dalla data di avvio dei lavori, o, se precedente, di sostenimento delle spese, e devono persistere sino alla fine dell’ultimo periodo di imposta di fruizione delle quote annuali costanti di detrazione». Fa eccezione il solo requisito della registrazione del contratto di comodato d’uso, «per il quale l’ultimo periodo del comma 10-bis, lettera b), dell’articolo 119 prevede espressamente la sussistenza del medesimo requisito in data certa anteriore alla data di entrata in vigore del comma 10-bis medesimo» (vale a dire il 1° giugno 2021, con le modifiche del Dl 77/2021).

Quanto al divieto di compensi o indennità di carica per i componenti del Cda (articolo 2, comma 3-ter, Dl 11/23) , il requisito è soddisfatto qualora, «indipendentemente da quanto previsto nello statuto, sia dimostrato, con qualsiasi mezzo di prova», oppure con dichiarazione sostituiva di atto notorio, «che i suddetti membri del consiglio di amministrazione non hanno percepito compensi o indennità di carica, ovvero vi hanno rinunciato o li hanno restituiti».

Proprio per effetto di tale norma del Dl 11/23 – conclude l’Agenzia – sono da ritenersi superati i chiarimenti resi sul punto con la circolare 3/E/ 2023.