Imposte

Tari, stop a tutto campo per i rifiuti delle industrie

La circolare dell’Ambiente indica l’esenzione per tutti i magazzini. Per mense e uffici esenzione dalla quota variabile per ogni tipo di recupero

di Gianni Trovati

Si allargano le esenzioni Tari per le industrie, che si applicano in automatico anche ai magazzini e bloccano sia la quota fissa sia la quota variabile. Lo stop alla Tari variabile, per le altre superfici, riguarda poi i rifiuti avviati «a qualunque processo di recupero». I termini per comunicare l’addio al servizio pubblico vengono fissati al 31 maggio.

Sono le tre novità nella versione definitiva della circolare con cui il ministero della Transizione ecologica (ex ministero dell’Ambiente) detta le istruzioni per applicare le nuove regole nate con il recepimento della direttiva comunitaria sull’economia circolare. Tutte e tre le novità sono buone notizie per le imprese. Non lo sono quindi altrettanto per i Comuni e i gestori che incassano le tariffe.

Tutto nasce, si diceva, dal recepimento della direttiva sull’economia circolare (la 2018/852) avvenuto a settembre con il Dlgs 116/2020, in vigore dal 1° gennaio scorso. Le nuove regole cancellano il potere dei Comuni di «assimilare» agli urbani i rifiuti speciali delle imprese, assoggettandoli quindi alla tariffa rifiuti.

Per applicarle, si fissano confini rigidi fra i rifiuti esenti e quelli per i quali si continua a pagare la Tari. Confini che nella circolare allargano il campo delle esenzioni rispetto alle bozze delle scorse settimane.

L’esenzione per le aree che producono rifiuti industriali ferma sia la quota variabile sia quella fissa, che nell’impianto della Tari servirebbe a finanziare i costi generali del servizio. Ipotesi contestata dai Comuni, ma sostenuta già dal Mef nelle risposte a Telefisco in riferimento ai soli magazzini funzionalmente collegati alla produzione.

Ora l’esenzione diventa più larga. Perché si applica a tutti i magazzini, quelli «di materie prime, di merci e di prodotti finiti», oltre che alle «superfici dove avviene la lavorazione industriale». Nei primi testi della circolare si parlava di magazzini «funzionalmente» collegati alle lavorazioni.

Le altre aree delle imprese, dalle mense agli uffici, che producono rifiuti urbani continuano a pagare la Tari in formula piena. A patto che a smaltirli siano i servizi comunali.

Le imprese possono decidere di abbandonare il servizio pubblico, e in questo caso si vedono esonerare dalla quota variabile (qui la parte fissa rimane). Per ottenere lo sconto, della durata di cinque anni rinnovabili, occorre comunicare la propria scelta al Comune, o al gestore del servizio nelle aree in cui si paga la tariffa corrispettiva, entro il 31 maggio. Sul punto la circolare deve avventurarsi su un terreno reso accidentato dal cortocircuito dell’ultimo intervento normativo, scritto all’articolo 30, comma 5 del decreto sostegni (Dl 41/2021).

La norma spiega che l’addio al servizio va comunicato «entro il 31 maggio di ogni anno». Per il 2021 il problema c’è ma è relativo, perché il termine per le delibere Tari è fissato al 30 giugno. Ma per il 2022 in teoria i Comuni dovrebbero chiudere i conti entro il 31 dicembre prossimo. Per dar tempo agli enti di costruire i piani finanziari, la circolare si trincera dietro un prudente condizionale e sostiene che per il futuro la comunicazione «dovrebbe essere effettuata l’anno precedente a quello in cui deve produrre i suoi effetti». Se ne deduce che entro il 31 maggio 2021 potrebbero essere effettuate anche le comunicazioni per il 2022. E che, soprattutto, solo una modifica normativa può sciogliere davvero il problema.

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