Telefisco 2024, le risposte della Guardia di Finanza
Sussistenza di una causa di non punibilità
In presenza di causa di non punibilità per un reato tributario (per esempio, pagamento integrale del debito tributario) sussistente prima della comunicazione della notizia di reato, le unità operative del Corpo devono comunque inviare la notizia di reato alla Procura, segnalando l’eventuale sussistenza di tale causa, o possono non fare la comunicazione di reato, stante la non punibilità dell’interessato?
L’articolo 347 del Codice di procedura penale pone in capo alla polizia giudiziaria l’obbligo di riferire, senza ritardo, alla competente Autorità giudiziaria ogni fatto connotato da un fumus di reato.
Tale onere informativo impone, pertanto, ai militari operanti di procedere alla trasmissione della comunicazione di notizia di reato alla Procura della Repubblica per le ipotesi delittuose previste dal Dlgs 74/2000 anche qualora sia astrattamente configurabile la causa di non punibilità di cui all’articolo 13 del predetto decreto a seguito dell’integrale versamento degli importi dovuti, a titolo di debiti tributari, sanzioni e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (per i reati di omesso versamento e di indebita compensazione di crediti non spettanti), ovvero prima che l’interessato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali (per i reati dichiarativi).
Sul punto può utilmente richiamarsi il consolidato orientamento della Suprema Corte che, a più riprese, ha riconosciuto in capo alla polizia giudiziaria il compito di procedere alla denuncia di ogni fatto costituente reato, rimettendo alla esclusiva valutazione dell’Autorità giudiziaria i profili soggettivi e le altre circostanze diverse dalla materialità del fatto, ivi comprese le cause di estinzione del reato o le cause di non punibilità (Cassazione civile, Sezione V, sentenza 07 ottobre 2015, n. 20043 e Cassazione civile, Sezione V, sentenza 15 maggio 2015, n. 9974, che richiamano i principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 25 luglio 2011).
In proposito, con la circolare n. 1/2018, è stata ribadita ai Reparti del Corpo l’importanza che, a fronte dell’assolvimento dei richiamati obblighi informativi, sia sempre data chiara evidenza a ogni utile dato o notizia concernente l’eventuale condotta del contribuente rivolta a soddisfare gli interessi erariali, per il conseguente giudizio dell’Autorità giudiziaria, cui è rimessa ogni valutazione circa la sussistenza delle condizioni per l’eventuale esercizio dell’azione penale.
Controllo nei confronti del cliente emittente false fatture
Il controllo in capo a un’impresa che ha emesso fatture false e la conseguente richiesta di documenti in capo al cliente che ha ricevuto le fatture (non oggetto di controllo nei suoi confronti) inibisce l’eventuale causa di non punibilità prevista dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000 nel caso in cui il cliente decida di regolarizzare la propria posizione (non avendo alcuna notizia di controlli nei propri confronti)?
Come noto, la causa di non punibilità di cui all’articolo 13, comma 2, del Dlgs 74/2000 opera, con riferimento al delitto di cui all’articolo 2 del medesimo decreto, sempreché il ravvedimento sia intervenuto «prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali».
Con riferimento all’ipotesi prospettata – vale a dire l’esercizio di un potere istruttorio non direttamente finalizzato all’accertamento nei confronti del destinatario, quale la mera richiesta di dati e informazioni nei confronti di soggetti terzi (clienti), nell’ambito di un’attività ispettiva condotta nei confronti del soggetto (fornitore) – si registra un recente orientamento della Corte di cassazione (Cassazione penale, Sezione III, sentenza 19 giugno 2023, n. 26274), secondo la quale «l’essere stato chiamato a chiarimenti nell’ambito di verifiche svolte nei confronti di un soggetto eventualmente implicato in un diverso reato, non equivale ad avere avuto cognizione di un accertamento compiuto nei propri confronti, tanto più alla luce dell’attributo “formale” della conoscenza richiesta, il quale postula che l’accertamento sia quantomeno riferito al soggetto interessato».
Pertanto, secondo i medesimi giudici di legittimità, «deve ritenersi conforme alla voluntas legis, la soluzione interpretativa che non limita l’applicazione della norma premiale nei confronti di un soggetto, qual è l’utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti (…), che resta estraneo all’attività di accertamento compiuto sul soggetto emittente le suddette fatture, che neppure è un concorrente».
Collegio sindacale e reati dichiarativi
Come viene valutato dalle unità operative del Corpo l’eventuale coinvolgimento del collegio sindacale, con e senza incarico di revisione ai sensi degli articoli 40 e 110 del Codice penale, rispetto a reati di dichiarazione infedele e fraudolenta ascrivibili a una società?
In tema di responsabilità per i delitti previsti dal Dlgs 10 marzo 2000, n. 74, la Corte di cassazione ha nel tempo espresso un netto orientamento, pronunciandosi nel senso di attribuire la responsabilità penale all’amministratore, «ovvero a coloro che rappresentano e gestiscono l’ente; costoro, in quanto tali, sono tenuti a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario, ai sensi dell’articolo 1, lettera c) ed e), Dlgs n. 74 del 2000, adempiendo agli obblighi conseguenti» (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza 04 agosto 2021, n. 30314).
Tale responsabilità può tuttavia essere estesa ad altri soggetti a titolo di concorso, purché si verifichi, sotto il profilo oggettivo, la presenza di un nesso causale tra gli atti dei singoli concorrenti e l’evento illecito, nonché, sul piano soggettivo, la consapevolezza di ciascuno in ordine al collegamento finalistico tra i singoli contributi, non occorrendo al riguardo un previo accordo tra le parti, come da tempo chiarito dai giudici di legittimità (Cassazione penale Sezioni unite, sentenza 3 maggio 2001, n. 31).
Pertanto, l’effettivo contributo causale dei componenti del collegio sindacale non potrà essere desunto solo dalla posizione rivestita e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, dovendosi verificare la presenza di elementi sintomatici del coinvolgimento attivo nella condotta illecita ovvero dell’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione del reato (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza 26 maggio 2021, n. 20867 e Cassazione penale, Sezione V, sentenza 18 maggio 2022, n. 19540).
L’eventuale responsabilità penale dei sindaci per reati tributari a titolo di concorso potrà, dunque, essere ipotizzata dai militari operanti soltanto qualora, tenendo conto dello specifico modello di gestione societaria adottato, dalle evidenze concretamente raccolte nel corso delle indagini di polizia giudiziaria emergano elementi idonei a qualificare come antigiuridica la condotta tenuta, ferma restando ogni valutazione inerente all’elemento psicologico di competenza dell’Autorità giudiziaria.
A mero titolo esemplificativo, la Suprema Corte ha chiarito che risponde a titolo di concorso nel delitto di indebita compensazione il componente del collegio sindacale di una società che esprima parere favorevole all’acquisto di un credito fiscale inesistente nella consapevolezza di tale inesistenza e della strumentalità dell’acquisto al successivo utilizzo del credito a fini di compensazione (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza 9 novembre 2021, n. 40324).
Omessa segnalazione di un’operazione sospetta
In caso di omessa segnalazione di operazione sospetta prevista dall’articolo 58 del Dlgs 231/2007 il legislatore per ben due volte, sia per i soggetti obbligati ordinari, tra cui anche i professionisti, sia per quelli vigilati, tra cui gli intermediari finanziari bancari, assicurativi e le società di revisione, prevede che il regime sanzionatorio amministrativo sia alternativo a quello penale. Ci si chiede, quindi, l’eventuale rapporto tra l’omesso rispetto della normativa antiriciclaggio e la possibilità che possano essere contestati, come evidenziato di recente, in alcuni precedenti giurisprudenziali anche di legittimità i reati di riciclaggio e autoriciclaggio.
La clausola di salvaguardia penale presente nell’articolo 58 del Dlgs 231/2007 evidenzia la ratio legis di tutelare in maniera complementare e sussidiaria i beni giuridici sottesi al sistema di prevenzione antiriciclaggio, evitando, al contempo, una duplicazione sanzionatoria che risulterebbe oltremodo afflittiva.
In altri termini, a fronte di una singola condotta sussumibile sia in una violazione penale, sia amministrativa, dovrà essere dato seguito solamente alla prima.
Relativamente alla possibilità di contestare i delitti di riciclaggio/autoriciclaggio in presenza di mancata segnalazione di operazioni sospette, è pacifico ritenere come la mera condotta omissiva non possa costituire automatica integrazione dell’elemento soggettivo della fattispecie delittuosa. Ciò nonostante, tale condotta potrà essere valorizzata unitamente ad altri elementi emersi nel corso dell’attività di indagine, per corroborare l’elemento soggettivo del reato.
Ispezione della Gdf ai fini antiriciclaggio
L’ispezione dei professionisti ai fini antiriciclaggio come viene effettuata? Con quali modalità e a quali annualità può essere circoscritta?
Si premette che nell’ambito della prevenzione dei fenomeni di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, la Guardia di finanza svolge, tra l’altro, attività di polizia amministrativa che si sostanziano in ispezioni e controlli orientati alla verifica del corretto adempimento degli obblighi da parte dei soggetti tenuti alla loro osservanza.
Dette attività, dopo una preliminare fase preparatoria condotta dalle unità operative del Corpo, hanno sovente avvio con l’accesso presso i locali del soggetto vigilato – anche diversi da quelli in cui detto soggetto esercita la propria attività di impresa o di lavoro autonomo – che avviene senza preavviso e previa esibizione delle tessere personali di riconoscimento dei militari operanti, nonché del foglio di servizio.
Quest’ultimo documento contiene le informazioni principali dell’attività amministrativa cui sarà data attuazione; vale a dire il luogo, la data, il grado ed il nominativo dei militari del Corpo autorizzati ad accedere, i dati identificativi del soggetto sottoposto ad ispezione, l’ordine dell’operazione di servizio da eseguire con l’indicazione della relativa tipologia di attività (ossia, se si tratta di una ispezione in senso stretto, o di un controllo), il richiamo al preventivo ottenimento della delega da parte del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria qualora all’attività proceda il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria ovvero altro reparto territoriale sino al rango di Compagnia, ed infine l’oggetto dell’ispezione con l’indicazione del relativo periodo temporale di interesse, il quale viene determinato sulla base delle attività di intelligence e delle attività preparatorie svolte prima di eseguire l’attività ispettiva.
Effettuato l’accesso presso la sede del soggetto vigilato, si procede in primo luogo a richiedere l’esibizione della documentazione fondamentale all’esercizio dell’attività e degli eventuali manuali organizzativi interni e delle procedure antiriciclaggio adottate dal soggetto sottoposto ad ispezione, nonché l’organigramma che consenta di individuare compiti e responsabilità interne connesse a ciascun obbligo antiriciclaggio. Sempre nell’ottica della più ampia collaborazione viene, in seguito, richiesta l’esibizione dei sistemi di conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni adottati ed un congruo numero di fascicoli, selezionati all’interno della complessiva clientela del professionista oggetto d’ispezione.
Quanto accaduto nel corso della giornata in cui viene effettuato l’accesso ispettivo viene poi rendicontato in un verbale giornaliero di ispezione, che contiene un resoconto completo delle operazioni eseguite durante la giornata, delle procedure e delle modalità di controllo attuate, delle richieste rivolte dalla Guardia di Finanza al soggetto ispezionato (e/o al rispettivo rappresentante) e delle relative risposte ricevute, nonché delle osservazioni e delle considerazioni che il soggetto ispezionato ha rilasciato spontaneamente.
Successivamente, i verbalizzanti procedono ad esaminare la documentazione acquisita al fine di verificare se le informazioni ivi contenute sono esatte e complete, in ottemperanza a quanto imposto dalla normativa antiriciclaggio quali l’adeguata verifica della clientela, la conservazione delle informazioni e l’invio delle segnalazioni di operazioni sospette.
Di tali attività è sempre redatto verbale che, costituendo la prosecuzione di quanto redatto in fase di accesso, viene rilasciato in copia alla parte che potrà fornire, nel rispetto del principio del contraddittorio, i percorsi logico-interpretativi che ha seguito nelle valutazioni del rischio e nell’esame delle informazioni disponibili.