Controlli e liti

Termini ancora incerti per le criptoattività

La legge rinvia all’agenzia delle Entrate il compito di definire le date per fare istanza di «emersione»

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Se è vero che per varie sanatorie ci sarà la proroga, ve n’è una per la quale – curiosamente – la legge non ha stabilito il termine entro cui provvedere alla “emersione”. Si tratta della regolarizzazione delle criptoattività.

Il comma 138 della legge 197/2022 non fissa, infatti, alcuna data entro la quale «presentare istanza di emersione secondo il modello approvato con il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate di cui al comma 141». Questo comma stabilisce che il contenuto, le modalità e i «termini di presentazione» dell’istanza sono disciplinati sempre con il medesimo provvedimento del direttore dell’Agenzia.

In sostanza, la legge non fissa il termine entro il quale avvalersi di questa cripto (in tutti i sensi) sanatoria: occorre dunque aspettare il provvedimento attuativo del direttore delle Entrate. La cosa lascia davvero perplessi: mai si era visto un “condono” il cui termine viene fissato da un provvedimento attuativo della prassi.

Come si ricorderà, in passato la sola prassi delle Entrate aveva riportato la necessità di indicare nel quadro RW le valute virtuali (quindi non tutte le criptoattività). La norma non disponeva invece tale obbligo. Tant’è che esso viene stabilito soltanto oggi.

Tra l’altro la norma stabiliva, come d’altronde ora, che solo quando le attività detenute all’estero risultano «suscettibili di produrre reddito imponibili in Italia» si deve procedere all’indicazione nel quadro RW. E stante l’assimilazione – fatta in passato dalla medesima prassi – delle valute virtuali con le valute estere, in molti casi (quando la giacenza media risultava inferiore a 51.645 euro per almeno sette giorni lavorativi) l’Agenzia aveva affermato che le criptovalute non determinassero alcun obbligo reddituale. Con la conseguenza evidente, per l’espressa normativa riferita alle valute estere, che non si era affatto in presenza di attività «suscettibili di produrre reddito imponibile in Italia». Senza contare che quando il contribuente deteneva egli stesso la chiave privata non si poteva affatto considerare le attività “detenute all’estero”.

Peraltro, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge di Bilancio 2023, il problema rimane l’aspetto sanzionatorio. Infatti, non è stata apportata alcuna modifica all’articolo 5 del Dl 167/1990, il quale individua le penalità in ragione dell’ubicazione territoriale delle attività (sanzione dal 3 al 15% delle attività non dichiarate nei Paesi non black list, e raddoppiata nel caso dei Paesi black list).

Il fatto è che, perlomeno quando il contribuente non ricorre a intermediari, disponendo egli stesso del wallet, si è in presenza di fenomeni che risultano affrancati da un territorio, per cui è di difficile individuazione il trattamento sanzionatorio, essendo quest’ultimo, come si è visto, radicato a un territorio “fisico”. Si auspica, quindi, che l’annunciata riforma del sistema sanzionatorio, oltre a rivedere al ribasso le sanzioni da quadro RW – oggi certamente non rispettose del principio di proporzionalità – provveda anche a disciplinare espressamente questi fenomeni.

Ad ogni modo, tornando alla sanatoria, è davvero difficile comprendere come possa trovare giustificazione una definizione per il passato (ancorché ad oggi senza scadenza) a fronte ad un obbligo di legge che viene inserito per la prima volta (solo) dal 2023.

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