Adempimenti

Transfer price in Dogana, aggiustamenti neutrali per l’Iva

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di Diego Avolio, Benedetto Santacroce ed Ettore Sbandi

Il rapporto tra prezzi di trasferimento e valore in dogana è ancora al centro del dibattitto tra gli operatori. Di recente Assonime (circolare 1/19) ha lamentato come non sia affatto chiara la rilevanza in dogana del valore dichiarato dalle parti appartenenti al medesimo gruppo in ottemperanza alla propria policy di transfer pricing.

La questione si pone con particolare riferimento agli «aggiustamenti di fine anno» e alla conseguente «sostenibilità» del prezzo di trasferimento preventivamente dichiarato in dogana, al momento dell’import o dell’export.

Nel corso degli anni, si sono succeduti numerosi interventi di prassi e di giurisprudenza tra cui, da ultimo, l’emanazione della nuova edizione (2018) del «Wco Guide to customs valuation and transfer pricing» da parte dell’Organizzazione mondiale delle dogane (Omd); anche la Corte di giustizia si è occupata del tema con una sentenza (sentenza 10 dicembre 2017, causa C-529/16), a ben vedere, non risolutiva e resa con un quadro normativo superato con l’entrata in vigore, a decorrere dal 1° maggio 2016, del nuovo Codice doganale Ue.

L’agenzia delle Dogane (circolare 16/15) ha riconosciuto l’adeguatezza dei cosiddetti «metodi reddituali» Ocse per la determinazione dei prezzi di trasferimento, precisando che gli eventuali aggiustamenti prezzo di fine anno dei beni dovrebbero seguire modalità dichiarative “sospese”, mediante la cosiddetta «dichiarazione incompleta».

È bene precisare che le indicazioni fornite dall’agenzia delle Dogane si occupano del caso in cui gli aggiustamenti di fine anno si traducono in una effettiva rettifica del prezzo dei beni. Nulla viene detto con riferimento all’ipotesi, invero piuttosto frequente nella pratica, in cui gli aggiustamenti di fine anno “reddituali” servono a “garantire” a una determinata parte della transazione infragruppo («tested party») di raggiungere un livello di profittabilità “a consuntivo” ritenuto congruo (“ad arm’s length”, appunto) secondo gli «intervalli di libera concorrenza» previsti dalla policy di transfer pricing.

Tali rettifiche parrebbero non andare a incidere direttamente sul prezzo dei beni in dogana.

L’argomento è stato affrontato di recente dall’agenzia delle Entrate ai fini Iva (risposta a interpello 60 del 2 novembre 2018), secondo cui i “transfer pricing adjustments” potrebbero incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta, aumentando o diminuendo il corrispettivo della vendita del bene (o della prestazione del servizio), solo se:

vi sia un corrispettivo, ossia una regolazione monetaria o in natura per tale aggiustamento;

siano individuate le cessioni di beni (o forniture di servizi) cui il corrispettivo si riferisce;

sia presente un «legame diretto» tra le cessioni di beni (o forniture di servizi) e il corrispettivo.

L’agenzia delle Entrate ha, quindi, ritenuto fuori dal campo di applicazione dell’Iva (alla stregua delle cessioni di denaro) gli «aggiustamenti di marginalità» di fine anno delle consociate, perché agli stessi, nel caso esaminato, non era attribuibile un «legame diretto» con le forniture di servizi e le cessioni di beni regolate dagli accordi di “contract manufacturing”. L’agenzia delle Entrate ha pure escluso che il pagamento di tali «aggiustamenti» a favore delle consociate servisse a remunerare una prestazione di servizi “generica” (obbligo di fare, non fare e permettere).

Si è dell’avviso che analoghe conclusioni dovrebbero valere ai fini doganali tutte le volte in cui l’aggiustamento di fine anno serve a “garantire” alla consociata l’indicatore di profitto ritenuto ad arm’s length (target profit).

In effetti, il contributo in denaro in cui si sostanzia il “transfer pricing adjustment” servirebbe alla consociata per raggiungere l’indicatore di «redditività attesa», in presenza, ad esempio, di costi fissi superiori rispetto a quelli previsti a budget, e non dovrebbe comportare un intervento ex post sulle dichiarazioni presentate in dogana.

In questo caso, la presenza della documentazione sui prezzi di trasferimento (circolare 16/D/15) potrebbe garantire che la relazione tra le parti non abbia «alterato» il valore dei beni in dogana.

È necessario che la questione venga affrontata in tempi rapidi dall’agenzia delle Dogane, di concerto con l’agenzia delle Entrate, chiamata pure a fornire direttive chiare in materia di prezzi di trasferimento, dopo la modifica della normativa interna e l’emanazione del decreto ministeriale 14 maggio 2018.

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