Transfer pricing, la difesa dai reati
Dalla bozza del decreto Mef sulla determinazione dei prezzi di trasferimento potrebbero trarsi spunti di difesa sotto il profilo penale in caso di contestazioni da parte dell’amministrazione. Di frequente, infatti, trattandosi di rettifiche per importi rilevanti ben superiori alla soglia penale, i verificatori, anche per una questione di cautela, segnalano la circostanza alla competente Procura della Repubblica. Ma vediamo in concreto la possibile casistica.
Gli acquisti
Partiamo dall’impresa italiana che acquista beni e servizi dalla controllata estera. Secondo i verificatori, applicando la corretta determinazione del valore dei beni o i servizi ricevuti in ambito infragruppo, l’impresa italiana ha dedotto più costi di quelli ritenuti corretti. Il costo che viene ripreso a tassazione potrebbe condurre a una quantificazione dell’imposta evasa superiore ai 150mila euro (soglia di punibilità prevista dal reato di dichiarazione infedele ex articolo 4 del Dlgs 74/2000).
Con le modifiche apportate a tale delitto dichiarativo questa casistica dovrebbe trovare facile risoluzione.
Trattandosi di costi indeducibili per l’impresa italiana, ai fini penali rilevano soltanto elementi passivi di reddito «fittizi». Mentre in passato secondo l’amministrazione e parte della giurisprudenza erano tali tutti i costi ripresi a tassazione, ora la disposizione precisa che la parola «fittizi», debba essere intesa come «inesistenti», con la conseguenza che nessun costo realmente sostenuto ancorché indeducibile può alimentare l’imposta evasa ai fini penali. Da qui l’irrilevanza penale di eventuali violazioni della specie.
Le vendite
L’altra ipotesi attiene la vendita di beni o servizi (e non l’acquisto come nel caso precedente) eseguita dall’impresa italiana verso la controllata estera.
In genere l’amministrazione rettifica in aumento, applicando le regole sul transfer pricing, i ricavi, sostenendo che i beni o i servizi ceduti siano stati sottostimati al fine di trasferire materia imponibile nell’altro Stato eludendo così l’imposizione italiana. Per il soggetto italiano si tratta così di un ricavo sottratto a nulla rilevando la fittizietà dei costi di cui si è detto per l’ipotesi precedente e quindi le modifiche apportate al reato di dichiarazione infedele.
La difesa dovrà puntare verosimilmente sul carattere squisitamente presuntivo dei nuovi valori accertati dall’ufficio basati su confronti e/o altre metodologie (peraltro ben descritte nel decreto in approvazione) che se hanno certamente rilevanza ai fini tributari sono del tutto insufficienti da soli a sostenere una eventuale accusa nel procedimento penale. Basti pensare che applicando le varie metodologie suggerite dall’articolo 4 del decreto si giungerebbe con ogni probabilità a determinazioni di valore differenti tra loro, privi quindi della attendibilità e certezza che deve invece caratterizzare l’accertamento della responsabilità penale. Lo stesso decreto condivisibilmente opera un distinguo sui vari metodi di valorizzazione delle operazioni e sulla loro appropriatezza rispetto al caso concreto.
Proprio dalle descrizioni di tali metodologie di può dedurre la loro utilità ai fini fiscali, ma anche la loro insufficienza a fondare una responsabilità penale. Sul punto varie volte la Cassazione ha precisato che presunzioni tributarie in ambito penale rappresentano solo meri indizi da supportate con altri elementi (per tutte, sentenze 10811/2014 e 6823/2015). Sarebbe allora auspicabile che, in futuro, gli uffici si astengano dal notiziare in questi casi la Procura o, quanto meno, diano la giusta evidenza nella loro segnalazione del carattere presuntivo della quantificazione operata, consentendo così il Pm destinatario della comunicazione di reato, di valutare subito tale valore presuntivo.
La bozza del decreto Mef sul transfer pricing