Imposte

Transfer pricing, operazioni monitorate per la direttiva Dac 6

Formule di redditività predefinita e beni immateriali di difficile valutazione sotto esame

di Massimo Bellini e Sara Di Trapani

Le operazioni intercompany possono rappresentare meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di comunicazione della direttiva Dac 6 (direttiva 2018/822/Ue). In attesa della conferma del rinvio da parte dell’Unione europea delle disposizioni - che altrimenti entrerebbero in vigore il 1° luglio - gli operatori stanno analizzando gli adempimenti da porre in essere.

Transfer pricing sotto esame
La direttiva introdurrà l’obbligo per contribuenti ed intermediari di comunicare alle autorità fiscali gli schemi di pianificazione fiscale internazionale potenzialmente aggressivi. Il transfer pricing è considerato uno strumento che può generare fenomeni di erosione della base imponibile, pertanto è prevista una specifica categoria di operazioni da comunicare (cat. E: prezzi di trasferimento) che raggruppa tre casistiche (cosiddetti “hallmarks” E1, E2 e E3).

Si noti peraltro che le operazioni tra imprese associate possono ricadere all’interno di altre categorie, qualora ne ricorrano i presupposti.

Imprese «associate»: concetto più vasto
L’ambito applicativo dello schema di Dl, in fase di approvazione, adotta una definizione di imprese associate più ampia rispetto a quanto previsto dalla normativa sui prezzi di trasferimento di cui all’articolo 110, comma 7, del Tuir.

Vi è infatti un esplicito rimando al Dm del 14 maggio 2018, che definisce il concetto di influenza dominante ai fini del transfer pricing, tuttavia sono previste ulteriori casistiche. Si tratta dei casi in cui:
vi è una partecipazione superiore al 25% del capitale, dei diritti di voto o degli utili, in assenza di influenza dominante;
per il raggiungimento delle soglie siano computati anche i voti dei familiari (art 2, c.2, dello schema di Dl), che al contrario non rilevano per il transfer pricing.

Secondo il Commission services (Working Party IV) della Commissione Ue il termine “infragruppo” si ricollega a questo concetto allargato di “imprese associate” adottato dalla direttiva, che pertanto sembrerebbe applicabile a tutta la sezione E.

Andrebbe inoltre confermato se i rapporti tra stabile e casa madre sono oggetto di comunicazione.

I casi da monitorare
L’hallmark E1 riguarda i cosiddetti “safe harbour” unilaterali, ovvero deroghe all’applicazione del principio di libera concorrenza con formule e/o margini di redditività predefiniti, considerati congrui senza svolgere analisi. Dovrebbero essere esclusi dall’obbligo di comunicazione i servizi a basso valore aggiunto per cui viene utilizzato il cost-plus 5 per cento. Trattasi di un metodo previsto dall’Ocse al cap VII sezione D delle Linee guida sul transfer pricing, pertanto non è una misura unilaterale. In tal senso si è espresso anche il Commission services evidenziando che gli obblighi dovrebbero riguardare solo i casi in cui non vi è consenso internazionale. Si ritiene che i safe harbours applicati in Brasile possano essere un esempio. Ad ogni modo se sono svolte analisi di transfer pricing e di benchmark l’obbligo di comunicazione non dovrebbe scattare anche se i risultati portano a margini in linea con eventuali safe harbours applicabili. Anche questo punto andrebbe confermato.

L’hallmark E2 riguarda il trasferimento di beni immateriali di difficile valutazione (Htvi), la cui definizione è mutuata dalla Linee guida Ocse (par. 6.189). Lo schema di decreto legge prevede che per Htvi si intendono anche i diritti sui beni, per cui l’hallmark dovrebbe essere applicabile alla concessione in licenza di Htvi piuttosto che ad altre ipotesi di trasferimento di diritti. Si pensi ad esempio all’ingresso o all’uscita di società da un cost contribution agreement per lo sfruttamento di un Htvi, che può comportare il trasferimento dei relativi diritti economici. Non viene specificato se il trasferimento di un Htvi nell’ambito di un’operazione più complessa (es. cessione di azienda che comprenda un Htvi) debba essere oggetto di comunicazione.

L’hallmark E3 riguarda il trasferimento di funzioni e/o rischi e/o asset, qualora la previsione di Ebit del cedente nei tre anni successivi sia inferiore del 50% a quella che sarebbe stata in assenza del trasferimento. Adottando la definizione più comune di Ebit, ovvero risultato operativo, le cessioni di partecipazioni andrebbero escluse dall’obbligo in quanto i relativi proventi (i dividendi) non vi sono compresi. Più in generale tutte le operazioni che hanno impatti economici sotto “la riga” del risultato operativo andrebbero escluse. Anche i trasferimenti che, pur impattando per più del 50% sull’Ebit, sono posti in essere nell’arco di più anni andrebbero esclusi in quanto carenti del requisito temporale dei tre anni.

Andrebbe infine previsto che le operazioni intercompany coperte da accordi preventivi transfrontalieri (Apa), qualora già oggetto di scambio di informazioni ai sensi della direttiva 2015/2376, non rilevino ai fini Dac 6, in linea con l’approccio già adottato da altri Paesi.

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