Imposte

Transfer pricing, utilizzabili i risultati degli studi di settore

di Massimo Bellini

Le risultanze degli studi di settore possono dare conferma della congruità delle transazioni intercompany rispetto al cluster di riferimento e rilevare pertanto anche ai fini della disciplina del transfer pricing. Lo afferma la Ctp Milano con la sentenza 2961/1/2017 (presidente Roggero, relatore Chiametti).

La controversia trae origine da una contestazione sui prezzi di trasferimento per gli anni 2012 e 2013 nei confronti di una società che operava come commissionario per la vendita di prodotti abrasivi per conto di una commitente consociata di diritto austriaco. La contribuente non aveva predisposto la documentazione di transfer pricing, pertanto l’ufficio aveva svolto un’analisi autonoma al fine di testare la congruità delle commissioni intercompany con il principio del valore normale (articolo 9 e 110 del Tuir). Considerata la non applicabilità dei metodi tradizionali (Cup, Rpm e Cost Plus) era stato utilizzato il Transactional margin method (Tnmm). I soggetti individuati come comparables erano distributori a basso rischio, in quanto ritenuti i più “prossimi” all’attività di commissionario.

Al fine di rendere omogenei i conti economici della contribuente, i cui proventi sono costituiti dalle commissioni, con quelle dei distributori l’ufficio aveva imputato figurativamente tra i ricavi della società il volume di vendite intermediato. Dal confronto del risultato operativo, così determinato (Ros) con il primo quartile dell’intervallo di Ros dei comparabili, scaturiva l’aggiustamento per i due anni oggetto di contestazione.

Nella propria difesa la società evidenziava la non adeguata comparabilità dei soggetti selezionati, che avevano attività e profilo funzionale diverso. In relazione a quest’ultimo aspetto veniva evidenziato che la società non aveva rischio di magazzino e di credito a differenza dei distributori individuati dall’ufficio. In aggiunta il 2013, chiuso in perdita, era stato influenzato dalla crisi del settore che aveva comportato una riduzione dei ricavi a fronte della quale i costi non si erano ridotti in misura corrispondente essendo fissi. Infine evidenziava che per entrambi gli anni era risultata congrua agli studi di settore.

I giudici milanesi hanno avallato in pieno la tesi della contribuente. In particolare la sentenza evidenzia che l’analisi dell’ufficio non poteva essere applicata ad un commissionario dato il differente profilo funzionale. Non andava, inoltre, disattesa la validità dello studio di settore le cui risultanze davano ampia conferma della congruità dei ricavi realizzati rispetto al cluster di riferimento.

La normativa sugli studi di settore non preclude l’applicazione dell’articolo 110, comma 7, del Tuir. In aggiunta i risultati degli studi sono dati statistici costruiti secondo logiche parzialmente diverse dalle analisi di transfer pricing (es. i dati degli studi comprendono anche società che sono parte di gruppo) e pertanto non rispondono a pieno ai requisiti del principio dell’arm’s length.

Tuttavia la sentenza fornisce un interessante spunto sulla possibilità di utilizzare gli studi come indicazione di mercato ai fini transfer pricing. Anche le linee guida Ocse riconoscono che dati di mercato “generici”, quali ad esempio informazioni su operazioni tra società consociate, possono essere utili .

Ctp Milano 2961/1/2017

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