Triangolazioni, non imponibilità Iva «blindata» dalle prove di cedente e promotore
Il riscontro dell’esportazione del bene dev’essere fornito da entrambi i partecipanti: si può fare riferimento al messaggio registrato sul sistema Aida
Nell’ipotesi di triangolari, una volta escluso il verificarsi di situazioni che “interrompono” l’operazione, la non imponibilità Iva va “blindata” con idonee prove del trasferimento fisico del bene.
Nella risposta 580/2020, le Entrate confermano che la prova dell’esportazione dev’essere fornita da entrambi i partecipanti alla triangolazione, ossia il primo cedente (IT1) e il promotore (IT2), e che a tal fine si può fare riferimento al messaggio elettronico “risultati di uscita” registrato sul sistema Aida.
Ecco quindi che è necessaria la collaborazione tra i due operatori per condividere la prova di uscita del bene. In particolare, il primo cedente deve disporre:
● del visto doganale sulla fattura emessa nei confronti del promotore e presentata in dogana, considerando che, se dal Mrn l’uscita risulta conclusa, le fatture associate s’intendono vistate ai fini della non imponibilità Iva (circolare 16/D/2011);
● della successiva integrazione con la menzione dell’uscita dei beni dal territorio Ue o, in alternativa, della copia della bolletta doganale intestata al promotore e contenente il riferimento alla triangolazione, insieme alla stampa del messaggio di uscita.
Il promotore fornisce la prova attraverso il messaggio di uscita.
Più complicato è invece fornire la prova del trasferimento dei beni in altro Stato membro in caso di triangolari comunitarie semplificate (IT-UE1-UE2 oppure UE1-IT-UE2): in questi casi, infatti, non si dispone della “certificazione” della dogana.
A tal fine, è possibile fare ricorso alle presunzioni dell’articolo 45-bis del regolamento 282/2011. Infatti, considerando che la disposizione non prevede limiti applicativi, non si vedono motivi per precluderne l’operatività nel caso delle triangolari, ovviamente considerando la maggior articolazione delle fattispecie.
La validità delle presunzioni dell’articolo 45-bis è stata peraltro avallata anche dall’agenzia delle Entrate con la risposta 632 del 2020. Il caso trattato riguarda una triangolare in cui un soggetto italiano cede beni a un operatore tedesco che, a sua volta, li rivende a clienti di altri Stati membri (diversi dall’Italia e dalla Germania). La prima cessione avviene con clausola ex works.
Secondo le Entrate, è possibile fornire la prova del trasferimento attraverso i set documentali individuati dalla prassi precedente, tra cui: fattura di vendita, elenco Intrastat, Cmr con le tre firme (fornitore, vettore e cliente) e rimessa bancaria (in base alla risoluzione 345/E/2007, è necessaria anche copia della documentazione contrattuale/commerciale, peraltro normalmente disponibile anche sotto forma di scambio di corrispondenza/email).
Viene poi confermato che, in assenza di Cmr “idoneo”, perché non riportante la firma del cliente, è possibile integrare la documentazione con la dichiarazione di ricezione della merce da parte dello stesso cliente e con il contratto/accordo comprovante la transazione.
Nella risposta 632/2020 è altresì precisato che la dichiarazione di ricezione della merce deve essere fornita dal cliente finale (e non dal promotore). Del resto, tale precisazione appare del tutto logica visto che bisogna provare che il bene sia arrivato a destinazione.
Anche per comporre il corredo di documenti alla base delle presunzioni ex articolo 45-bis del regolamento 282/2011, dovrebbe necessariamente valere la dichiarazione scritta del cessionario finale.
Va infine osservato che il riferimento alle indicazioni della prassi e alle presunzioni di matrice comunitaria dovrebbe risultare applicabile anche per le triangolazioni nazionali (IT1-IT2-UE) visto che, a ogni modo, il risultato è sempre quello di trasferire il bene in un altro Stato membro.
Resta inteso che, per poter operare nei modi illustrati, risulta necessaria la collaborazione tra primo cedente e promotore, con gli evidenti limiti che si pongono qualora per ragioni di riservatezza commerciale il promotore non intenda svelare l’identità del cliente finale.