Un identikit più definito per i soggetti obbligati alla garanzia
La versione iniziale del Dl 193/2016 era apparsa come una decisa reazione alla sentenza della Corte di giustizia del 17 luglio 2014, nella causa C-272/13 – Equoland, con cui l’organo europeo aveva statuito che la dogana non poteva pretendere il pagamento dell’Iva sulla bolletta doganale se il tributo era stato “assolto” in reverse charge all’estrazione dal deposito fiscale, anche nel caso in cui la procedura di immissione in libera pratica e di introduzione nel deposito non avesse rispettato le relative disposizioni, tra cui in primis la movimentazione fisica della merce.
Dogane ed Entrate si erano rapidamente adeguate a questa pronuncia con le circolari 16/D-2014 e 12/E-2014, ma il Dl aveva disposto che qualunque estrazione da deposito Iva avrebbe comportato il pagamento dell’imposta con il modello F24, a meno che il contribuente disponesse di un plafond (in precedenza mai utilizzato per questa operazione) o procedesse ad estrarre un acquisto intracomunitario, operazione naturalmente in reverse charge.
La legge di conversione, oltre a confermare la decorrenza delle innovazioni dal 1° aprile 2017, attenua notevolmente la portata iniziale, parlando di garanzie e di un regolamento di attuazione, il Dm 23 febbraio 2017, pubblicato nella «Gazzetta Ufficiale» 64 del 17 marzo scorso .
Diciamo subito che l’operazione inizialmente nel mirino del legislatore di urgenza esce indenne, in quanto l’articolo 4 del regolamento esclude dalla prestazione di garanzia l’estrazione dei beni da parte di chi li aveva introdotti a seguito di una immissione in libera pratica, cioè dello sdoganamento con il solo pagamento dei dazi, ove esistenti, ma non dell’Iva.
Non dove prestare garanzia chiunque estragga, anche a seguito di acquisto della merce in deposito, chi si trova nella condizione di Aeo, cioè di operatore economico autorizzato in dogana oppure è esonerato dalla cauzione in base all’articolo 90 del nostro ormai remoto testo unico doganale (Dpr 23 gennaio 1973 n. 43).
Ricordiamo che l’estrazione dal deposito Iva era stata già assistita da varie cautele, tra cui l’iscrizione al registro delle imprese da almeno un anno.
Il vero obiettivo di queste disposizioni non è tanto quello di salvaguardare l’Iva sull’estrazione (contemporaneamente dovuta e detraibile) quanto di cautelare l’erario da soggetti, che spesso nascono e muoiono in tempi brevi, che non avendo versato materialmente l’Iva sull’acquisto, vendono poi addebitando il tributo, che si guardano bene dal versare. Il termine inglese per queste frodi è infatti quello di missing trader, cioè del venditore scomparso.
Vediamo ora in quali casi è dovuta una specifica garanzia, premettendo che il decreto si occupa solo dei beni introdotti in deposito a seguito di uno sdoganamento in libera pratica, dato il richiamo alla sola lettera b) dell’articolo 50-bis, comma 4, del Dl 331/93 ed estratti da soggetti diversi da chi aveva eseguito lo sdoganamento.
I soggetti obbligati alla garanzia devono aver presentato almeno tre dichiarazioni annuali Iva (o comunque tutte le dichiarazioni dall’apertura della partita Iva nel caso di durata inferiore), essere in regola con i versamenti dovuti, e non devono essere stati destinatari di indagini, sia amministrative che penali, relative all’emissione di fatture per operazioni inesistenti o per altri reati tributari.
Nel caso in cui il soggetto che procede all’estrazione non rispetti le condizioni sopra riportate, dovrà presentare la garanzia tipica dei rimborsi Iva, della durata di sei mesi dalla data di estrazione.
In sintesi: niente di nuovo per i casi più ricorrenti e adeguate cautele per le ipotesi residuali.