Imposte

Unione europea e Ocse: imprese verso una carbon tax «sostenibile»

L’obiettivo è la riduzione entro il 2030 delle emissioni di gas a effetto serra di almeno al 55% rispetto al 1990

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto di John Thys / Afp)

di Giorgio Emanuele Degani

L’Unione europea e l’Ocse hanno intrapreso un percorso per incrementare la tassazione delle imprese, così da renderla sostenibile dal punto di vista ambientale. È il principale obiettivo enunciato, rispettivamente, nella comunicazione della Commissione Ue del 14 luglio 2021 ( «Fit for 55: delivering the Eu’s 2030 Climate Target on the way to climate neutrality» ) e nel report del gennaio 2021 ( «Taxing Energy Use for Sustainable Development: Opportunities for energy tax and subsidy reform in selected developing and emerging economies» ), confermato nello scorso mese di ottobre, affinché la tassazione delle imprese multinazionali – oltre che essere equa e bilanciata – sia anche attenta all’ambiente e volta a ridurre l’inquinamento.

Lo scopo, dunque, è quello di conformare le azioni legislative sovrannazionali alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% almeno (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030. Questi obiettivi sono stati condivisi (perlomeno in parte) anche dalla Cop26, in occasione del quale si è discusso della possibilità di introdurre una “tassa globale sul carbonio”, ovvero un’imposta relativa al carbonio contenuto nei combustibili fossili, per ridurre le emissioni di CO2 e contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi.

Le imposte sul carbonio sembrano essere lo strumento più efficace per limitare l’incremento di temperatura globale: e infatti il potenziale gettito derivante da tale imposizione potrebbe essere destinato dagli Stati a realizzare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

La proposta Fit for 55

La Ue è attivamente impegnata sul fronte della tassazione ambientale, perché lo scopo è quello di raggiungere un’Europea “climate neutral” entro il 2050, ossia diventare il primo continente a impatto climatico zero. Lo strumento legislativo più importante per realizzare tale obiettivo appare il Carbon border adjustment mechanism (Cbam): un meccanismo di adeguamento, per settori ben individuati, che abbatta il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. In sostanza, il Cbam equalizzerà il prezzo del carbonio tra prodotti nazionali e importazioni, assicurando che gli obiettivi climatici dell’Unione europea non vengano compromessi dalla possibile delocalizzazione della produzione in Paesi extra Ue con politiche ambientali meno rigorose.

Il sistema Cbam funzionerà così: gli importatori della Ue acquisteranno certificati di carbonio corrispondenti al prezzo del carbonio che sarebbe stato pagato se le merci fossero state prodotte sotto le regole Ue. Se un produttore extra Ue riesce a dimostrare di aver già pagato un prezzo per il carbonio utilizzato nella produzione delle merci importate in un Paese terzo, il costo corrispondente può essere interamente detratto dall’importatore Ue.

Il Cbam contribuirà inoltre a ridurre il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio incoraggiando i produttori dei paesi non Ue a rendere ecologici i loro processi di produzione.

Il meccanismo verrà introdotto gradualmente e, almeno all’inizio, si applicherà soltanto a un numero selezionato di merci ad alto rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio: come, ad esempio, il ferro, l’acciaio, il cemento, i fertilizzanti, l’alluminio e l’elettricità.
Questa fase graduale inizierà nel 2023, mentre il sistema definitivo dovrebbe diventare pienamente operativo nel 2026. Il progetto è estremamente ambizioso, ma – oggi più che mai – è necessario introdurre un’imposizione sostenibile e coordinata per la tutela dell’ambiente.

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