Controlli e liti

Uso promiscuo, non basta la brandina

di Antonio Iorio

Per l’accesso in locali adibiti, oltre che all’esercizio di attività economiche, agricole e professionali, anche ad abitazione per una verifica fiscale è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica territorialmente competente. Affinchè però un immobile possa essere qualificato come «promiscuo», è necessario che il contribuente - imprenditore o professionista - vi abbia stabilito il centro effettivo della vita intima e privata propria e familiare: il Comando generale della Guardia di Finanza nel corso del Telefisco 2018 ha chiarito il significato da attribuire al presupposto richiesto.

La legge Iva

L’articolo 52, comma,1, del Dpr 633/72 ai fini Iva, prevede che gli operatori dle Fisco possono accedere nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché in quelli utilizzati dagli enti non commerciali per procedere a ispezioni o ricerche utili per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione. È poi disposto che se i locali sono adibiti anche ad abitazione («uso promiscuo») è necessaria l’autorizzazione del Pm.

Secondo la GdF, nella risposta al Telefisco, in questa autorizzazione non è necessaria una motivazione specifica, qualificandosi come un atto dovuto, un mero adempimento procedurale che si limita a riscontrare la ricorrenza dei presupposti richiesti dalla norma ai fini dell’accesso domiciliare (Sezioni unite 16424/2002). Questa tipologia di autorizzazione ha carattere amministrativo, una sorta di atto dovuto da parte del Pm, il quale deve soltanto limitarsi a verificare che il controllo fiscale debba essere svolto in un luogo utilizzato “promiscuamente” dal contribuente da ispezionare.

L’uso promiscuo

Si ritengono utilizzati a uso promiscuo i locali adibiti sia allo svolgimento dell’attività sia ad abitazione, e anche quando i locali sono comunicanti. Tuttavia, in concreto occorre comprendere quando possa ritenersi realizzato l’uso promiscuo di un locale. Secondo la GdF è necessario che il contribuente, imprenditore o professionista, vi abbia stabilito il centro effettivo della vita intima e privata propria e familiare, risultando insufficiente la mera predisposizione di alcuni vani o spazi dell’immobile per il saltuario pernottamento, la consumazione di pasti ovvero la mera dichiarazione dell’interessato non suffragata da evidenze esteriori. In altri termini, si può parlare di abitazione ai fini della disciplina in argomento, secondo la GdF, solo in caso di effettiva destinazione di un certo luogo allo svolgimento di attività rientranti nella sfera privata e intima della persona e della propria famiglia.

La Cassazione

Le pronunce della Cassazione al riguardo hanno ritenuto nulli gli accertamenti fondati su accessi effettuati in luoghi utilizzati sia come impresa sia come abitazione, senza la prevista autorizzazione. Cosi la Cassazione (sentenza 6908/2011) ha ritenuto nullo un accertamento fondato sulla documentazione reperita in sede di accesso presso lo studio del commercialista adibito anche ad abitazione, senza la prevista autorizzazione.

Ed ancora, secondo la Suprema corte (sentenza 4140/2013), si configura l’uso promiscuo in presenza di locali comunicanti (abitazione/ufficio) e ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale o professionale nei locali abitativi e, quindi, sia possibile averli sottomano per ogni evenienza e, nel contempo, però, detenerli in stanze abitualmente destinate al sonno o ai pasti (Cassazione 6232/2015)

Da segnalare infine che l’autorizzazione legittima solo l’accesso nell’indirizzo indicato e non, in via più generalizzata, «nella residenza di fatto» del contribuente (sentenze 8206/2015 e 4498/2013), cioè a dire in altri luoghi dove si ritenga che l’abitazione del contribuente debba essere individuata quale, ad esempio, l’abitazione della convivente.

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