Imposte

Vanno pesati anche durata e contributi

di Ernesto Gatto e Giorgio Gavell

Altre variabili possono modificare – anche in misura consistente – i calcoli di convenienza tra i diversi regimi.

Per quanto attiene ai contributi previdenziali, non va dimenticato che il regime forfettario consente, in caso di nuova attività, una riduzione temporanea (che si riflette in un ridotto apporto ai fini pensionistici), mentre il regime Iri è sterilizzato a questi fini, per cui il dovuto è il medesimo del contribuente “ordinario non Iri”.

Il passaggio tra gli studi di settore e i nuovi indicatori Isa dovrebbe essere indolore per i forfettari, mentre è difficile prevederne l’impatto per ordinari e semplificati (questi ultimi, peraltro, “orfani” delle rimanenze su cui si basano diversi parametri). Ove il minor numero di informazioni disponibili comportasse una collocazione meno rigida del contribuente nella nuova pagella che il Fisco sta costruendo, è presumibile che aumenti l’appeal per il regime semplificato.

Ogni opzione ha, poi, precisi vincoli. Il regime Iri (sempre che parta per davvero) è quinquennale, mentre l’opzione per la contabilità ordinaria – che dovrebbe in linea di principio imporre un vincolo annuale, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del Dpr 442/1997 – diventa invece un obbligo almeno triennale da quando semplificato ed ordinario comportano anche una diversa determinazione della base imponibile (articolo 18, comma 8, Dpr 600/1973 e circolare 11/E/2017, par. 6.6). Logica vuole, inoltre, che, in caso di doppia opzione ordinaria/Iri, il periodo minimo di permanenza in ordinaria passi da tre a cinque anni.

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