VERSO LA MANOVRA/3 - Flat tax, correttivi per eliminare le distorsioni
In prossimità della legge di bilancio si è riacceso il dibattito sul regime forfettario, primo tassello della flat tax riservato alle persone fisiche esercenti attività di impresa, arti e professioni con ricavi/compensi annui non superiori a 65mila euro.
Se tra le partite Iva la misura ha riscosso un rilevante successo, testimoniato dal cospicuo incremento di nuove aperture di forfettari nel primo semestre dell'anno (170.582 contro le 123.343 del 2018), gli stessi dati diffusi dall’Osservatorio sulle partite Iva del Mef hanno confermato le perplessità espresse in questi mesi dalla maggioranza degli addetti ai lavori.
In particolare, infatti, va rilevato come il boom dei forfettari corrisponda a un parallelo calo delle aperture di associazioni professionali e società di persone e di capitali, avvalorando i timori di chi temeva una ulteriore spinta alla frammentazione delle attività professionali e imprenditoriali.
Senza contare che rimangono irrisolte tutte le problematiche generate dalle distorsioni prodotte dal regime agevolato: dal manifestarsi di aliquote marginali superiori al 100% al superamento della soglia, alla cumulabilità del forfettario con redditi di lavoro dipendente anche ingenti, agli effetti sulla concorrenza nei comparti dove la committenza è rappresentata prevalentemente da consumatori finali, per via della mancata applicazione dell’Iva, fino alla possibilità di godere di un’aliquota proporzionale del 15% anche su redditi milionari per effetto della norma che impone l’uscita dal regime soltanto nell’anno successivo a quello di superamento della soglia. Tutte ragioni, a ben vedere, che potrebbero imporre un profondo ripensamento del forfettario.
Occorre tuttavia considerare che una radicale riforma del regime, o addirittura un ritorno tout court al modello del 2018, cambierebbe in corsa le regole del gioco per centinaia di migliaia di professionisti e piccoli imprenditori che nel corso del 2019 hanno operato scelte di investimento sulla base delle regole delineate dall’ultima legge di bilancio.
Proprio partendo dal presupposto che stravolgere le norme fiscali ogni 12 mesi non è (quasi) mai una buona scelta, si può ragionare su alcuni aggiustamenti che – in attesa di una complessiva riforma dell’irpef – potrebbero eliminare o ridurre gli effetti di alcune delle citate distorsioni.
Innanzi tutto si potrebbe eliminare l’effetto collaterale più dannoso per il comparto dei servizi professionali: consentendo l’accesso al regime forfettario anche ai soggetti che esercitano la propria attività in associazione professionale o in Stp, ferme restando le relative soglie di compensi, infatti, verrebbe meno il vantaggio fiscale all’esercizio della professione in forma individuale e, quindi, la conseguente corsa alla frammentazione delle attività.
Potrebbero essere presi in considerazione, inoltre, due interventi volti a circoscrivere – in termini di equità – la platea dei beneficiari del forfettario, senza vanificare gli obiettivi di fondo del regime agevolato. In primis potrebbe essere riproposta la norma che – fino al 2018 – sanciva l’incompatibilità del forfettario con il possesso di redditi di lavoro dipendente di ammontare rilevante, eventualmente aggiornandone la soglia.
Infine, per evitare che anche redditi eccessivamente alti possano usufruire dell’imposta sostitutiva al 15%, si potrebbe rispolverare, con gli opportuni adattamenti, un principio stabilito nel vecchio regime dei minimi: se il volume dei ricavi/compensi supera di non più del 50% il limite dei 65mila euro la fuoriuscita dal regime agevolato si produce nell’anno d’imposta successivo; se, invece, esso oltrepassa il 50% il regime cessa di avere applicazione nell’anno stesso.