Web tax, per le sanzioni ingiusto il modello Iva
Possono generarsi molti problemi nell'imputazione dei ricavi per cassa<br/>
L’imposta sui servizi digitali (Isd) è commisurata ai ricavi realizzati nel corso dell’anno solare, come stabilisce l’articolo 1, comma 35 bis della legge 145/2018. Ciò ha indotto l’agenzia delle Entrate, prima nel provvedimento del 15 gennaio 2021 e poi nella circolare 3 del 23 marzo 2021, a considerare applicabile il principio di cassa invece di quello di competenza. Si tratta di un’opzione interpretativa che può creare non poche difficoltà per i soggetti passivi di tale imposta che contabilizzano i ricavi secondo il principio di competenza e non di cassa.
Di qui il rischio tutt’altro che remoto, anche per la mole di operazioni poste in essere, di incorrere in errori di imputazione temporale.
È allora importante comprendere come dovrebbe essere il trattamento sanzionatorio per tali eventualità. Occorre preliminarmente osservare che, nella circolare 3 del 2021, le Entrate, pur affrontando diffusamente i numerosi temi di carattere sostanziale non si è occupatano del tema delle sanzioni, limitandosi ad affermare che, con riguardo agli obblighi contabili, per il primo anno di applicazione dell’imposta non saranno applicabili sanzioni (articolo 10, comma 3 dello Statuto dei diritti del contribuente) per gli errori o irregolarità commessi in sede di trasmissione e compilazione dei dati richiesti.
Venendo al trattamento sanzionatorio per gli errori di imputazione temporale, le perplessità nascono dal fatto che, in base alla disciplina dell'Isd, debbono trovare applicazione le norme sulle sanzioni previste per l’Iva, purché «compatibili». Senonché, tale compatibilità non sembra esservi in questo caso. La totale assenza, nella disciplina sostanziale dell’Iva, di una regola sull'imputazione temporale dei ricavi, non sembra rendere coerente (e quindi compatibile) l’applicazione, sul piano sanzionatorio, dell'istituto della dichiarazione infedele Iva laddove tale regola sia violata.
Pienamente compatibile con la violazione di cui ci stiamo occupando appare invece l’articolo 1, comma 4 del Dlgs 471/1997 che contiene una norma ad hoc per le ipotesi di errore di imputazione temporale di un componente fiscalmente rilevante. Norma in forza della quale, se l’errore di imputazione temporale non comporti un danno per l’erario, la sanzione sarà fissa (250 euro).
Si tratta di una norma pienamente compatibile con la natura dell’Isd che, assoggettando a imposizione i ricavi, non è certamente qualificabile quale imposta sul reddito (come correttamente osservato nella circcolare 3/E del 2021) ma è, altrettanto certamente, rispetto alle categorie utilizzate dal legislatore ai fini sanzionatori, un’imposta diretta. E l’articolo 1 del dlgs 471/1997, giova ricordarlo, è contenuto nel titolo I, capo I, rubricato «Sanzioni in materia di imposte dirette». Se dunque l’articolo 1, comma 4 del Dlgs 471/1997 si adatta perfettamente agli errori di imputazione temporale dei ricavi ai fini della Isd, va detto peraltro che non considerarlo applicabile anche a tale imposta equivarrebbe a sacrificare sia il principio di ragionevolezza (sulla cui applicabilità alle sanzioni amministrative ha molto insistito, di recente, la Corte Costituzionale con la sentenza 63/2019), sia il principio di proporzionalità.
Ciò in quanto, come ha compreso il legislatore del 2015 (che ha inserito la disposizione attualmente contenuta nell’articolo 1, comma 4 del Dlgs 471/1997) non vi è certo proporzionalità alcuna nell’applicare una sanzione proporzionale (dal 90 al 180% del tributo evaso) commisurandola a un’imposta che, nella sostanza (e cioè se non si guarda al singolo periodo di imposta), non è stata affatto evasa. Resta salvo il fatto che, ferma l’applicabilità al caso prospettato dell'articolo 1, comma 4 del Dlgs 471/1997, spetterà ai soggetti passivi provare in concreto la mancanza di danno erariale al fine di beneficiare del passaggio dalla sanzione proporzionale a quella fissa di 250 euro.
Fabio Ciani, Gabriele Damascelli, Claudio Sabbatini
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