Controlli e liti

Reati tributari, vanno evitate disparità in base alle disponibilità economiche

di Simone Lonati e Carlo Melzi d’Eril

Lo schema di Dlgs sulla certezza del diritto uscito dal Consiglio dei ministri del 24 dicembre, su cui sono nate polemiche soprattutto in relazione alla soglia di non punibilità del 3%, contiene anche altre disposizioni che non convincono del tutto. Una di queste, sulla quale non sembra esservi stata alcuna alzata di scudi e che quindi non parrebbe oggetto delle ipotesi di modifica subito annunciate nei giorni scorsi, è l'introduzione di una causa di estinzione del reato per i delitti di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, omesso versamento dell'Iva e di ritenute certificate. In base a tale norma chi, prima dell'apertura del dibattimento, paga quanto dovuto al fisco, anche a seguito di procedure conciliative o di adesione all'accertamento, ottiene la chiusura del procedimento penale, appunto perché il reato si è estinto.

Si tratta di una novità del sistema penale tributario, che fino a oggi ha sempre contemplato il ravvedimento operoso del contribuente esclusivamente come circostanza attenuante, capace di diminuire la pena e, al più, escludere quelle accessorie. Nel testo non vi è traccia delle conseguenze in cui incorrerebbero coloro che, pur avendo adempiuto al pagamento di quanto dovuto prima dell'inizio del processo, sono stati condannati, benché con l'applicazione di una diminuzione di pena. La versione dello schema di Dlgs uscita dal Consiglio dei ministri del 24 dicembre scorso, infatti, non prevede alcuna disciplina per i procedimenti in corso, né per quelli già definiti con sentenza passata in giudicato: se il testo fosse confermato, opererebbero, allora, le regole generali e l'estinzione avrebbe effetto in entrambi i casi.

Tale disposizione merita di essere approfondita per il tipo di messaggio che sembra comunicare: quello «onesto», che paga (troppo) anche a fronte di eterne economie, continuerà a farlo; quello «disonesto», che paga meno del giusto, o anche niente, non sarà certo invogliato a modificare il proprio comportamento. Costui potrebbe evadere e, tutt'al più, solo una volta scoperto, raggiungere un accordo con l'agenzia delle Entrate, con il “paracadute” per cui una simile condotta consente di evitare ogni conseguenza penale. Sotto questo aspetto, di fronte a comportamenti analoghi, il cittadino «disonesto» non viene trattato in modo particolarmente diverso rispetto a quello «onesto», anzi.

Inoltre, tale causa di estinzione rischia di creare forti diseguaglianze, per di più non giustificabili, tra i contribuenti. È evidente la disparità fra chi ha il denaro per far fronte a un pagamento anche tardivo e chi, magari per mere difficoltà del momento, non lo possiede: il primo sarà tra i «salvati» dal processo, il secondo tra i «sommersi» dalla condanna. Il dubbio è se un sistema penale che, a parità di condotta, accetta che una sanzione detentiva possa in concreto dipendere dal censo del reo, sia coerente con i principi che conosciamo. Si pensi al piccolo imprenditore che fatica a far fronte alle pretese dell'amministrazione finanziaria e che è quindi destinato a una pena certa rispetto a chi, non avendo alcuna difficoltà a conciliare con il fisco, potrà evitare tout court ogni ulteriore conseguenza.
Infine, la norma pare in contrasto con lo spirito complessivo e dichiarato dell'intervento normativo. Se quest'ultimo infatti si proponeva di introdurre regole che non si accanissero contro il contribuente in buona fede, questa disposizione sembra venire incontro piuttosto a chi si può permettere di riparare con moneta alla propria condotta illecita. Tutto ciò colora con tinte privatistiche il rapporto, che viceversa dovrebbe avere carattere esclusivamente pubblicistico, fra il cittadino e il fisco.

Queste critiche perché chi scrive vorrebbe un fisco amico degli «onesti» e non dover sottoscrivere l'amara considerazione di Colbert quando diceva che incassare tasse significa spennare un'oca in modo da ottenere il più possibile di piume con il suo minor numero di lamenti.

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