Controlli e liti

Ostacolo alle funzioni di vigilanza, il sequestro «vale» per un solo reato

di Sara Mecca

Il sequestro preventivo per equivalente disposto per il reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza deve avere ad oggetto il profitto derivante direttamente da tale reato e non può essere quantificato sulla base di un reato diverso ed autonomo, se pur astrattamente collegato al primo.
A fornire tale precisazione è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39870 depositata ieri .
Un soggetto era indagato, tra gli altri, per i reati di esercizio abusivo di attività finanziaria (art. 132 T.U.B.) ed ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza di infedeltà patrimoniale, previsto e punito dall’art. 2638 codice civile.
Infatti lo stesso, esercitando abusivamente l’attività di intermediazione finanziaria aveva venduto alcune polizze fideiussorie, fornendo alla Banca d’Italia informazioni false.
Nell’ambito del procedimento penale, ed in particolare per il reato ex art. 2638 c.c., veniva applicata la misura del sequestro preventivo per equivalente, finalizzato alla confisca, su alcuni beni di proprietà dell’indagato.
Il Tribunale del riesame, pur confermando il provvedimento di sequestro, ne riduceva l’importo originario, quantificando il profitto del reato sulla base dei frutti della vendita delle polizze fideiussorie. In sostanza i giudici del riesame facevano coincidere il profitto del reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza con quello del reato di esercizio abusivo della attività di intermediazione finanziaria, ritenendo sussistente un nesso di causalità diretta tra i due reati.
L’indagato proponeva ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, che la quantificazione del profitto confiscabile era stata determinata dal Tribunale sulla base di una indebita espansione della nozione di profitto, comprendente gli indiretti ed eventuali riflessi economici vantaggiosi derivanti da altro reato. Secondo la difesa, infatti, le false comunicazioni inviate alla Banca d’Italia non avrebbero alcuna correlazione con il delitto di esercizio abusivo della attività di intermediazione finanziaria. Mancherebbe, dunque, il nesso di pertinenzialità tra profitto e reato da cui esso deriva.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’indagato relativamente al sequestro per il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza, rinviando ad altra sezione del Tribunale.
Secondo i Supremi giudici, infatti, il profitto sequestrabile deve avere una diretta derivazione causale dal reato presupposto, con la conseguenza che eventuali profitti indiretti, derivati da altri reati collegati con il primo, non possono formare oggetto del provvedimento cautelare, mancando il necessario nesso di pertinenzialità che va inteso come conseguenza diretta del reato per cui il provvedimento cautelare è stato disposto.
A nulla rileva il fatto che, nella specie, l’ostacolo alla vigilanza da parte della Banca d’Italia - costituito dalle false comunicazioni al detto organo - è stato reso possibile dall’abusivo esercizio dell’attività di intermediazione bancaria: si tratta, infatti, di un salto logico che interpreta erroneamente la norma di cui all’articolo 2641 del Codice civile che, consentendo la confisca (e dunque il prodromico sequestro) per il reato di cui all’articolo 2638 c.c., richiede un nesso diretto tra tale reato ed il profitto sottoposto a vincolo cautelare.
Da qui l’accoglimento del ricorso dell’indagato con rinvio ad altra sezione del Tribunale che dovrà conformarsi al principio stabilito dalla Corte.

La sentenza n.39870/15 della Cassazione

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