Professione

Commercialisti più specializzati chiamati a fare rete

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di Redazione Qdf

Prosegue il confronto sulle specializzazioni dei commercialisti, lanciato sabato 1° giugno dal presidente del Cndcec, Massimo Miani, in un’intervista al Sole 24 Ore. Per inviare commenti si può usare la casella di posta elettronica

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Il mercato non è uguale per tutti

Posso senza ombra di dubbio dire convinto che la specializzazione rappresenta un valore aggiunto alla nostra professione di dottore commercialista. Però non dimentichiamoci che la scelta la fanno i nostri potenziali clienti, a meno che uno non si proponga di esercitare la professione con una roulotte e giri le piazze con su scritto “specializzato in ...”. Ci sono delle realtà di colleghi bravissimi che operano su piccole comunità dove bisogna sapere di tutto.

Ci si può specializzare in alcune aree importanti ma poi se non conosci le persone che danno incarichi o non frequenti certi luoghi, sei “fuori rosa”. Ho visto assegnare procedure concorsuali e perizie sempre agli stessi ignorando altri colleghi seri e professionali. Dovevano essere istituiti presso i tribunali degli elenchi con richiesta di colleghi interessati a procedure ma di tutto questo? Aria fritta, mi risulta. Ci doveva essere una rotazione nella assegnazione degli incarichi; ma chi lo ha notato?

Qualcuno mi spieghi perché alcuni colleghi bravi sono carichi di procedure mentre altri altrettanto o forse più bravi non hanno mai o quasi ricevuto incarichi. Allora faccio una proposta: specializziamoci prima in rapporti sociali e poi magari in rapporti professionali...

Promuovere la diversificazione

Da quando ho intrapreso la professione ho sempre creduto nella specializzazione e il comune binomio “commercialista=fiscalista” mi infastidiva, soprattutto perché la mia vocazione era tutt'altro. La specializzazione è resa necessaria dalla complessità delle materie nei cui ambiti ciascun commercialista può prestare consulenza.

Mi hanno sempre insegnato che è il commercialista a dover divulgare cultura d'impresa, quindi, innanzitutto dovremmo essere noi stessi a promuovere sul mercato una domanda diversificata di servizi. Un po' come il medico di base che rimanda agli specialisti.

Noto spesso, invece, nei colleghi, una tendenza a coltivare il proprio orticello, a osteggiare colleghi con differente specializzazione che si approcciano a un loro cliente col timore di vederselo sottratto. Una scarsa tendenza alla collaborazione con la voglia, passatemi il termine, di “portare tutto il possibile a casa”.

La sfida? Essere noi direttamente o attraverso l'albo a promuovere una domanda diversificata di servizi sul mercato e non il contrario, adeguarci al mercato con il rischio di farlo in ritardo.

Orgoglio professionale da ritrovare

Il dibattito sulle specializzazioni rende evidente la totale assenza di scopi e valori di un'intera categoria che brancola nel nichilismo. Laddove per valori intendo un base comune esperienziale e valoriale. A ben vedere quello sulle specializzazioni è un dibattito su quella che oramai è diventata nel gergo comune “attività di base”, la pratica tributaria.

Il commercialista di base, si dice, non ha futuro. Vero se abdichiamo al senso critico, ma al contempo falso e frutto di mancanza di orgoglio professionale, e quindi di valori.

L'equivoco nasce dall'erronea distinzione tra diritto tributario, attività che sembra aver perso ogni paternità, e pratica tributaria , attività del commercialista di base.

La pratica tributaria ci ha reso dimentichi che questa è parte integrante del diritto tributario e che i commercialisti sono, nella materia tributaria, presidio di legalità per la corretta applicazione del tributo. I commercialisti nella pratica e nel diritto tributario devono essere orgogliosi di rivendicare il loro ruolo di “ parte” e di controparte rispetto alle Agenzie statali. I commercialisti sono dalla parte del contribuente e della legalità per la corretta applicazione dell'imposta e quindi della legge. Solo recuperando il valore e l' orgoglio di essere “parte” possiamo riconquistare la fiducia del mercato.

La soluzione è la trasversalità

Il commercialista è l'anello di congiunzione fra il sistema economico sociale, di natura privatistica, e il sistema politico-amministrativo su cui è ancorato il sistema costituzionale della finanza pubblica.

Il proliferare, invece, di elenchi volti ad includere professionisti di varia estrazione tecnico-giuridica, creati ad hoc dal legislatore in ambiti pubblicistici, rappresenta una scelta politica per individuare all'occorrenza le competenze non disponibili all'interno delle amministrazioni pubbliche.

Se ciò apparentemente è funzionale alla riduzione delle strutture amministrative, per un altro verso la creazione di questi elenchi è solo un falso problema per il sistema ordinistico. In tali elenchi, si iscrivono i cultori di un sapere specialistico che volontariamente si propongono sia ai pubblici sistemi che al mercato. Il mercato, d'altro canto, ricerca da sempre figure professionali in possesso di saperi non necessariamente correlati a bollini blu attestanti competenze o presenti in elenchi da cui estrarre a sorte la soluzione delle contingenze.

A mio avviso, la risposta alla complessità, che impone il mercato, è la trasversalità di competenze e una solida cultura professionale di base. Il tema delle specializzazioni rappresenta non tanto il futuro futuribile, né un corridoio umanitario per la salvezza della professione, ma un sussulto neofordista che mal si addice a una libera professione. Introdurre nel Dlgs 139/2005 le specializzazioni, subordinandole al superamento di un corso formativo di 200 ore predisposto a cura di soli alcuni soggetti qualificati (Saf), ovvero riconoscere indirettamente l'attestato di specialista a chi da anni è sul campo maturando specifiche competenze (e ciò solo in forza di un regolamento di futura estrazione ministeriale), è un'operazione bizantina. Segnalo che questa tentata riforma dell'ordinamento non è piaciuta neppure all'arena politica, che, in momenti e con maggioranze differenti, ha sbianchettato le righe d'innesto al Dlgs 139/2005.

Ma mi domando: le altre professioni scaturenti dalle scienze sociali, hanno internalizzato nei loro ordinamenti le specializzazioni? Non mi pare che gli avvocati, i notai, i consulenti del lavoro, abbiamo al loro interno previsto le specializzazioni per qualificare la loro attività, poiché il titolo professionale da sé identifica le loro competenze specialistiche.

A mio avviso, la categoria ha oggi due temi contingenti su cui riflettere prioritariamente: il primo è la burocratizzazione digitale, mentre il secondo è legato alla rappresentanza della categoria sia in termini istituzionali che politici. La prima questione è legata all'eterna bugia della semplificazione del sistema fiscale e tributario. Credo che tutti stiano ad oggi aspettando l'avvento della verità sul tema. Sul secondo punto, la riflessione non è meno complessa: sia il sistema sottostante le elezioni degli ordini territoriali che l'elezione indiretta del Consiglio nazionale, sono strumenti che non consentono né la dialettica democratica interna con la base, né consegnano ai vincitori un immutabile consenso. Tra l'altro i vincitori non sono attori del sistema politico italiano in senso stretto, ma guardiani delle funzioni indicate nel Dlgs 139/2005.

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