Controlli e liti

Sugli accertamenti bancari serve l’intervento del legislatore

di Andrea Rovagnati e Antonio Tomassini

Per la Ctr Lombardia (sentenza n. 355/45/2016), in sede di accertamenti bancari a carico di una società a ristretta base familiare l’ufficio potrebbe legittimamente riferire alla società le movimentazioni dei conti correnti bancari personali dei soci, senza dover addurre elementi ulteriori rispetto al mero legame familiare e societario. Tale conclusione non sembra rispettare il tenore letterale dell’articolo 32 del Dpr 600/1973, che si riferisce ai conti bancari “intrattenuti” dal contribuente sottoposto al controllo. E invero la decisione non pare in linea nemmeno con le posizioni espresse sia dall’agenzia delle Entrate con la circolare n. 32/2006 che dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 20668/2014).
Ma la sentenza fa riflettere anche su un altro rilevantissimo tema. Nel caso di specie infatti l’applicazione dell’articolo 32 propugnata dall’agenzia delle Entrate, poi avallata dalla Ctr, ha portato alla ripresa a tassazione, quali maggiori ricavi aziendali, anche dei prelevamenti dai conti correnti personali dei soci, in virtù della previsione contenuta nella norma per la quale i prelevamenti non giustificati rappresenterebbero, appunto, ricavi. Con ciò distanziandosi irragionevolmente dalla sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte riferita ai compensi conseguiti dai lavoratori autonomi, a motivo della «fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali» che caratterizza i conti bancari di questi soggetti. Una siffatta “promiscuità” inevitabilmente caratterizza anche i conti correnti di soggetti, quali i soci persone fisiche, che agiscono come meri privati, neppure dotati di contabilità. Pretese come quelle avallate dalla Ctr rinnovano, pertanto, la necessità di un’urgente abrogazione della regola in esame. L’intervento del legislatore eliminerebbe dall’ordinamento una norma intrinsecamente irragionevole, così altresì definitivamente scongiurando il rischio di arbitrari automatismi, con i quali, come avviene nel caso dei prelevamenti di somme in contanti, si pretende di tassare somme in uscita dai conti bancari di imprenditori individuali o di soci di società. Non ci piace evocare soluzioni per legge di questioni che con ragionevolezza interpretativa potrebbero già ritenersi superate, tuttavia vicende come quelle in commento dimostrano come a volte l’intervento normativo sia imprescindibile, anche per evitare illogiche discriminazioni. Sui prelevamenti dai conti e l’equazione prelevamenti uguale ricavi occorre francamente evitare il prodursi di situazioni kafkiane dove risulta impossibile anche fornire qualsivoglia prova contraria. Su tale fronte, peraltro, un bel banco di prova per l’Agenzia è rappresentato dalla voluntary disclosure dove la presenza di prelevamenti non giustificati è un vero e proprio totem. Il prelevamento non è mai un componente positivo, al più, nei casi di collegamento a un’attività economica (che va provato a cura del fisco), può rappresentare un costo nero cui collegare dei ricavi neri, ma è un’altra storia. È una presunzione illogica, quella dell’articolo 32, che bene ha fatto la Corte Costituzionale a censurare per i lavoratori autonomi, ora va fatto un passo ulteriore, abrogandola anche per gli altri soggetti.

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