Gli ostacoli da rimuovere nella nuova mediazione tributaria
La fiscalità locale continua ad evolvere in modo articolato, per non dire contorto, con una miriade di regolamenti tributari, uno per ogni comune, che disciplinano la stessa materia in modo difforme a pochi kilometri di distanza. Lo sanno bene gli studi professionali con clienti che possiedono immobili in una pluralità di comuni, che devono chiedere ai collaboratori di passare delle ore a leggere con attenzione le singole varianti, spesso prive di logica per essere diverse da un luogo all'altro.
Il titolo III del Dlgs 446/1997, quello meglio noto per l'istituzione dell'Irap, disciplina le modalità con cui gli enti locali gestiscono i tributi, per il cui accertamento possono dotarsi di una propria struttura oppure attribuire il controllo e/o la riscossione a soggetti privatistici.
Ogni regolamento detta poi le norme per l'autotutela e per la possibilità di definizione agevolata delle controversie.
In questo contesto è da apprezzare la modifica all'articolo 17-bis del decreto sul contenzioso tributario (Dlgs 546/1992), che estende il reclamo e la mediazione ai rapporti con gli enti locali o con le strutture esterne alle quali è stata affidata la gestione dei tributi.
Il vantaggio di questo ampliamento del reclamo/mediazione consiste nella possibilità di trovare un accordo nei 90 giorni dalla notifica del ricorso all'ente impositore, prima di depositarlo in commissione tributaria ed avviare così il contenzioso giurisdizionale, i cui costi sono destinati a crescere e che rimarranno a carico della parte totalmente soccombente.
Dato il rapporto di natura personale esistente tra contribuenti ed ufficio nei moltissimi comuni di piccola-media dimensione, l'ideale sarebbe quello del contraddittorio preventivo, per arrivare ad un atto di imposizione già definito tra i due soggetti del rapporto tributario.
Il limite della mediazione per questi enti lo si legge a chiare lettere nel comma 4 dell'articolo 17-bis: la necessità di avere apposite strutture, diverse ed autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili, si applica compatibilmente con la struttura organizzativa dell'ente.
Queste novità sono state commentate in modo approfondito dall'Ifel della Fondazione Anci, con lo studio del 18 dicembre 2015. L'Ifel pone in evidenza che non occorre modificare il regolamento comunale, in quanto l'innovazione opera ex lege e che in assenza dell'apposita struttura sarà lo stesso funzionario responsabile della gestione tributi a svolgere l'istruttoria. Ma se l'incontro con il contribuente è già avvenuto prima dell'atto di imposizione, non si capisce perché il funzionario dovrebbe cambiare ulteriormente parere solo perché ha ricevuto il reclamo, da considerare come un preavviso di ricorso giurisdizionale, di cui peraltro deve avere tutte le caratteristiche, compresa la sottoscrizione del difensore abilitato se la controversia è di valore eccedente 3.000 euro. Questo requisito non opera per le istanze di autotutela, la cui presentazione non interrompe però i termini per presentare ricorso.
Sono anche interessanti le riflessioni su cosa può/deve fare l'ente locale. L'Ifel afferma infatti che la normativa non impone di formalizzare il diniego al reclamo o alla mediazione, e pertanto, nel silenzio dell'ente locale, trascorsi i 90 giorni di legge, il contribuente è tenuto a depositare, nei 30 giorni successivi, il ricorso presso la commissione tributaria.
Tuttavia, considerando che il nuovo articolo 15, comma 2-septies, del Dlgs 546/92 prevede, con finalità deflattiva, che nelle controversie reclamabili le spese di giudizio siano maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento, si reputa opportuno formulare un diniego espresso ed adeguatamente motivato, oltre che, se eventualmente necessario, invitare il contribuente al contradditorio, all'esito del quale si può (o meglio si deve) redigere un verbale sottoscritto anche dal contribuente o dal proprio difensore.