Imposte

Tasse sullo smart working oltre confine: un attestato certifica la «permanenza forzata»

Accordi tra Paesi definiscono la tassazione del lavoro dipendente svolto in paese diverso da quello del datore

di Stefano Vignoli e Alberto Crosti

Un’intesa per sterilizzare gli effetti fiscali del lockdown. Le autorità fiscali di Italia e Francia hanno attivato la procedura di amichevole composizione prevista dall’articolo 26, paragrafo 2, della Convenzione contro le doppie imposizioni. L’accordo, conclusosi con la firma francese il 16 luglio e italiana il 23 luglio 2020, interviene sull’interpretazione - in tempi di Covid-19 - dei paragrafi 1 e 4 dell’articolo 15 del Trattato franco-italiano sul lavoro dipendente con l’obiettivo di neutralizzare dal punto di vista fiscale gli effetti generati dal lockdown.

L’accordo prende atto che, in ragione delle misure restrittive poste in essere dai due Paesi, molti lavoratori - tra i quali in particolare i frontalieri - hanno dovuto (e tuttora devono, anche in considerazione dell’attuale diffusione del virus in Francia) esercitare la propria attività lavorativa presso la propria residenza e, quindi, in Paese diverso da quello dove svolgono abitualmente il proprio lavoro.

Uno scenario completamente nuovo nel quale le persone non hanno più la libertà assoluta di decidere come operare, dove muoversi e soggiornare. Ciò rende necessario valutare se le norme in vigore siano diversamente interpretabili per adattarle ai tempi particolarmente critici.

Si ricorda infatti che, sulla base dell’articolo 15:

- paragrafo 1 ) il reddito di lavoro dipendente è imponibile soltanto nel Paese di residenza se vi svolge l’attività lavorativa, mentre se svolge il lavoro all’estero il reddito è imponibile (anche) nell’altro Paese;

- paragrafo 4) limitatamente ai redditi percepiti dai frontalieri (lavoratori che abitano in zone di frontiera e si recano nell’altro Stato per motivi di lavoro), l’imposizione avviene in via esclusiva nello Stato di residenza.

Per i lavoratori che si recavano abitualmente all’estero e che, in ragione delle limitazioni di movimento, si trovano a lavorare in smart working dalla propria abitazione, l’accordo prevede che non si tenga conto, nell’interpretare i paragrafi 1 e 4 di tale «permanenza forzata»: in pratica, ai fini convenzionali, verranno considerati come giorni lavorati all’estero.

Tale inquadramento ha rilevanza anche ai fini contributivi (si pensi alla contribuzione Inps di chi lavora in Italia).

A questo fine sarà necessario conservare un’attestazione del proprio datore di lavoro che giustifichi il numero dei giorni lavorati presso il proprio domicilio in ragione delle misure restrittive attuate.

L’accordo vale per il periodo dal 12 marzo al 31 agosto 2020 ma, con ogni probabilità, verrà esteso fino al 31 dicembre. La proroga fino alla fine dell’anno è infatti già stata approvata dalle autorità francesi per gli accordi con gli altri Paesi limitrofi Germania, Belgio, Lussemburgo e Svizzera e, quindi, l’aggiornamento di quello con l’Italia non dovrebbe tardare.

L’accordo nasce su impulso dell’Ocse (linee guida del 3 aprile 2020) e segue quelli già firmato dal nostro Paese con Svizzera (19 giugno) e Austria (26 giugno).

In raffronto, l’accordo con la Francia pare avere una portata più ampia riguardando anche i lavoratori non frontalieri e presenta la particolarità che l’interpretazione non risulta vincolante per il contribuente: chi lo desidera potrà notificare alle autorità fiscali del proprio Paese l’intenzione di non beneficiare dell’accordo e, quindi, essere considerato come lavoratore del Paese di residenza in tale periodo.

Infine un’ultima considerazione: stante il rango superiore che la norma convenzionale ha nei confronti delle norme domestiche, il lavoratore frontaliero continua a godere della franchigia fiscale (7.500 euro), non essendo modificata la sua tipologia reddituale.


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